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Nella sua opera estrema, Teoria estetica, Adorno menziona Paul Valéry una ventina di volte. Già questo fatto basterebbe ad attestare l’importanza che Valéry riveste per la riflessione adorniana sull’arte e sull’estetico. Infatti Teoria estetica, sebbene costituita nel suo complesso da un corpus testuale di mole imponente, è avara di citazioni e sono tutto sommato pochi gli autori (sia artisti sia filosofi) i cui nomi ricorrono numerose volte tra le sue pagine. Oltre a Kant e Hegel, e oltre a Benjamin, più frequenti di Valéry sono solo Baudelaire, Beckett, Beethoven e Schönberg, mentre all’incirca egualmente frequenti sono Brecht, Goethe e Nietzsche. Vista la parsimonia con la quale Adorno centellina i propri referenti espliciti nel momento in cui compie il massimo sforzo di condensazione teorica di una lunga riflessione sull’estetico, sarebbe avventato relegare il dato della frequenza del nome di Valéry in Teoria estetica nel novero degli accidenti meramente estrinseci. L’impressione della rilevanza di tale riferimento risulta poi sicuramente rafforzata se si vanno a leggere i luoghi in cui viene effettuato il rimando a Valéry.
i può probabilmente acconsentire a quel giudizio di Francesco Guicciardini che le capacità, il talento e la saggezza del principe si specchiano anche nella scelta dei suoi ambasciatori. È perciò un aspetto molto affascinante di questo libro il mettere a fuoco gli attori ed esecutori dei potentati ed esaminare la loro interazione e comunicazione con il reggente. Sembra particolarmente interessante studiare gli incaricati di missioni diplomatiche di Massimiliano I visto che queste diedero il via all’ascesa della sua casata – non solo nei regni iberici ma anche in Boemia ed in Ungheria – non per mezzo della guerra, ma mediante la diplomazia, attraverso le trattative e le negoziazioni matrimoniali. Gregor Metzig che dichiara di volersi distaccare, con la sua tesi di dottorato, dalla «storiografia diplomatica convenzionale» e dalla tendenza classica a considerare la «politica europea» di Massimiliano come una «semplice catena di avvenimenti alternanti tra guerre, tregue e riprese delle ostilità tra le case rivaleggianti» (2), si mette sulle tracce di queste persone abili e valenti, gli ambasciatori, che operarono con, per e all’ombra di Massimiliano I e che sono spesso cadute vittime dell’oblio. ...
La sfida del nominalismo alla realtà degli universali (sia in filosofia che in teologia) è stata un motore del pensiero moderno. Tradotta in termini estetici, ha favorito la resistenza alle generiche convenzioni e ha contribuito a minare le nozioni essenzialiste della forma estetica. Theodor W. Adorno ebbe una risposta tipicamente dialettica al nominalismo, plaudendo alla sua sovversione delle reificazioni categoriche, ma allarmato dal suo livellamento indiscriminato della distinzione tra concetto e oggetto, che poteva anche cancellare la distinzione tra opere d'arte e oggetti di uso quotidiano. In termini musicali, ha apprezzato l'enfasi nominalista sui singoli lavori rispetto alle generiche categorie formali e ha elogiato la rivoluzione atonale di Arnold Schoenberg. Ma era anche consapevole del fatto che, portato all'estremo, il nominalismo poteva condurre al dominio soggettivo di una natura considerata priva di proprie caratteristiche essenziali. Nella sua tardiva riflessione sulla musique informelle, ammirò una musica che evitava sia le categorie reificate che il dominio soggettivo dell'apparente contingenza del mondo materiale, una musica che esprimeva un nominalismo che avrebbe potuto essere meglio chiamato "magico" piuttosto che "convenzionale".
Il saggio propone una ricostruzione critica della concezione di impegno e di politicità della letteratura formulate da Brecht e da Adorno. Concezioni opposte che possono essere considerate le formulazioni più efficaci delle due posizioni predominanti nel dibattito estetico del Novecento.
Adorno fonda la politicità della letteratura sulla sua autonomia e sulla liberazione della forma. La politicità dell’arte scaturisce per lui dal rifiuto della discorsività, dalla aggressiva sottrazione del senso, dalla esposizione del negativo. La sua è una concezione dell’impegno elitaria che subordina il discorso artistico a quello filosofico. Brecht fonda la possibilità politiche della letteratura sulla consapevolezza della medialità dell’esperienza. Può essere rivoluzionario solo l’autore che ha riflettuto sulle mediali condizioni della propria produzione e produce opere che non sono espressione di una soggettività ma lavoro alla trasformazione e al cambiamento di funzione dei dispositivi mediali e delle istituzioni in cui agisce.
Una notte del 1749 la giovane ebrea romana Anna del Monte, diciottenne membro di un’importante famiglia del ghetto, fu prelevata in casa dagli sbirri e condotta alla Pia Casa dei Catecumeni – un’istituzione fondata nel 1542/43 per ospitare coloro che intendevano convertirsi al cattolicesimo. Nel caso di Anna, si voleva sondare la sua volontà di convertirsi e indurla a compiere tale passo. Questo rapimento era una misura legale – come è noto anche dai lavori di Marina Caffiero –che poteva colpire qualunque ebreo fosse accusato di aver manifestato il desiderio o l’intenzione di convertirsi al cattolicesimo – ma anche colui o colei che un convertito avesse »offerto« alla fede cristiana, qualora il neofito potesse rivendicare su di lui/lei la patria potestas, interpretata in senso lato. Era stato un sedicente promesso sposo – il neofito Sabato Coen – ad offrire alla fede Anna del Monte, probabilmente con la speranza di stipulare un matrimonio vantaggioso al quale egli avrebbe potuto difficilmente ambire, considerando le sue umili origini. Anna fu trattenuta ai Catecumeni per 13 giorni, dei quali tenne il novero mettendo da parte una delle due uova che le venivano portate quotidianamente su sua richiesta. Durante l’internamento resistette ai tentativi conversionistici, alle lusinghe e alle minacce di ecclesiastici e neofiti e finanche al maldestro tentativo di battesimo di un predicatore, che cercò di perfezionare il rito gettandole addosso dell’acqua – tentativo al quale la giovane reagì dichiarando di non voler aver nulla a che fare con le sue "superstizioni" e di subire il gesto come "se le avesse urinato addosso un cane". Salda nel rifiuto del battesimo, Anna fu infine restituita al ghetto. ...
Il saggio approfondisce l’opera di due artisti fondamentali degli ultimi decenni, ovvero Antoni Tàpies e Bill Viola. La loro produzione artistica riesce a sfuggire alla condanna che Th. W. Adorno fa di tutti quei movimenti che rimettono in questione il concetto di arte e la nozione di opera. Questi due artisti salvano lo statuto dell’arte nella società post-industriale, vale a dire in un momento in cui le trasformazioni profonde del sistema culturale rischiano di minacciare la sopravvivenza della creazione artistica, come se la razionalità estetica non potesse che abdicare davanti alla razionalità strumentale. Sono pochi i pittori che come Antoni Tàpies riescono a infondere alla materia inanimata un’irradiazione e una capacità di evocazione tanto intense, mentre per Bill Viola tutte le opere d’arte rappresentano cose invisibili e la stessa tecnologia digitale non è altro che una forma più pura per avvicinarsi a quelle realtà non fisiche e non visibili che stanno sotto alle cose visibili del mondo. La scommessa di Tàpies e Viola riguarda la sopravvivenza dell’arte nell’universo mercantile di una società sempre più amministrata e sottoposta agli imperativi economici; la loro produzione pare mirata a renderci consapevoli della nostra mortalità, offrendo immagini in grado di mettere in connessione la dimensione sensibile e quella spirituale, il visibile e l’invisibile, aprendo lo spazio a una trascendenza che sembrava completamente svanita.
La tradizione funeraria dell’isola di Cipro prevede fin da età Geometrica ed Arcaica l’utilizzo di sepolture di tipo rupestre, in modo particolare di camere ipogee ricavate solitamente al di sotto del banco roccioso, che possono essere viste come uno sviluppo delle tombe a camera dell'età del Bronzo. A partire dalla fase di transizione da età Classica ad età Ellenistica, con la presenza tolemaica nell'isola, vengono importati nuovi modelli e le camere vengono regolarizzate e dotate di elementi "monumentali" interni. In questa sede si analizzano le tipologie della loculus chamber e le attestazioni di utilizzo dell'arcosolium nell'area delle antiche città di Paphos e Kourion.