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i può probabilmente acconsentire a quel giudizio di Francesco Guicciardini che le capacità, il talento e la saggezza del principe si specchiano anche nella scelta dei suoi ambasciatori. È perciò un aspetto molto affascinante di questo libro il mettere a fuoco gli attori ed esecutori dei potentati ed esaminare la loro interazione e comunicazione con il reggente. Sembra particolarmente interessante studiare gli incaricati di missioni diplomatiche di Massimiliano I visto che queste diedero il via all’ascesa della sua casata – non solo nei regni iberici ma anche in Boemia ed in Ungheria – non per mezzo della guerra, ma mediante la diplomazia, attraverso le trattative e le negoziazioni matrimoniali. Gregor Metzig che dichiara di volersi distaccare, con la sua tesi di dottorato, dalla «storiografia diplomatica convenzionale» e dalla tendenza classica a considerare la «politica europea» di Massimiliano come una «semplice catena di avvenimenti alternanti tra guerre, tregue e riprese delle ostilità tra le case rivaleggianti» (2), si mette sulle tracce di queste persone abili e valenti, gli ambasciatori, che operarono con, per e all’ombra di Massimiliano I e che sono spesso cadute vittime dell’oblio. ...
Quanto narrato da Franz Kafka nella Colonia penale (In der Strafkolonie, 1914) è forse troppo noto per raccontarne la trama. Mi limito a ricordare l'essenziale di questo racconto, che è uno die pochi pubblicati dall'autore in vita. Un viaggiatore approda, nel corso di una sua esplorazione, in una terra di nessuno, tra il noto e l'ignoto, tra il familiare e il perturbante. Si tratta di un’isola tropicale che è sede di una colonia penale. I Tropici di Kafka non presentano nulla di esotico; sono piuttosto il luogo della extraterritorialità par excellence, di una "civiltà" arcaica amministrata da una legge brutale, disumana e palesemente ingiusta. Lo strumento di questa "barbarie" è una macchina omicida, che prima era in auge, ma che ormai – essendo stata messa al bando dal nuovo comandante della colonia – ha assunto le sembianze di un relitto del passato. Rispetto a questo vecchio macchinario, che associa al dolore fisico l'ordine sociale, si sta infatti ormai affermando un nuovo paradigma, simbolo di un sistema più moderato. Il funzionamento dell'apparecchio in dismissione, posto in un insolito campo di sperimentazione, viene illustrato all'esploratore da parte di uno zelante oratore. È un ufficiale, orgoglioso e fedele custode "nei tempi nuovi" del macchinario di ieri, ma soprattutto convinto avvocato difensore della tecnica come barbarie.
Nella sua opera estrema, Teoria estetica, Adorno menziona Paul Valéry una ventina di volte. Già questo fatto basterebbe ad attestare l’importanza che Valéry riveste per la riflessione adorniana sull’arte e sull’estetico. Infatti Teoria estetica, sebbene costituita nel suo complesso da un corpus testuale di mole imponente, è avara di citazioni e sono tutto sommato pochi gli autori (sia artisti sia filosofi) i cui nomi ricorrono numerose volte tra le sue pagine. Oltre a Kant e Hegel, e oltre a Benjamin, più frequenti di Valéry sono solo Baudelaire, Beckett, Beethoven e Schönberg, mentre all’incirca egualmente frequenti sono Brecht, Goethe e Nietzsche. Vista la parsimonia con la quale Adorno centellina i propri referenti espliciti nel momento in cui compie il massimo sforzo di condensazione teorica di una lunga riflessione sull’estetico, sarebbe avventato relegare il dato della frequenza del nome di Valéry in Teoria estetica nel novero degli accidenti meramente estrinseci. L’impressione della rilevanza di tale riferimento risulta poi sicuramente rafforzata se si vanno a leggere i luoghi in cui viene effettuato il rimando a Valéry.