BDSL-Klassifikation: 01.00.00 Allgemeine deutsche Sprach- und Literaturwissenschaft > 01.08.00 Zu einzelnen Germanisten, Literaturtheoretikern und Essayisten
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In un'intervista rilasciata in piena maturità a ricordo degli anni di gioventù, Bloch concentra la sua attenzione sulle rilessioni antimilitaristiche contenute in 'Spirito dell'utopia' (1918 e 1923). soprattutto riformula quella questione che – proposta con veemenza nella Introduzione (dal titolo Intenzione) del suo libro – attraversa come un ilo sotterraneo tutta la sua produzione giovanile: "dove deve essere rintracciata l'origine di quella cecità che ha portato al crimine della guerra? perché il popolo dei poeti e dei pensatori ha imboccato il vicolo cieco del primo conlitto mondiale?".
La vis polemica di Bloch nei confronti dello storico colpo di tuono emerge dai passi iniziali di 'Spirito dell’utopia', uno studio che – come segnala l'"avvertenza" del 1936 – è stato "sviscerato e realizzato di note contro la guerra". È soprattutto a un intenso brano della "Intenzione" che bloch affida la sua denuncia della barbarie della prima conflagrazione bellica, inquadrandola in uno 'Zeitgeist' di generale immiserimento economico e morale.
Tra le parole che si sono prestate agli usi più difformi e ambigui c'è sicuramente il concetto di progresso. Il motivo del "Fortschritt", che si è affermato nel XVIII secolo in contrapposizione alla visione ciclica propria dell'antichità, era associato all'idea di un incremento della produttività e alla prospettiva di uno sviluppo della storia umana. Questa deinizione positiva del progresso, per la quale al "dopo" corrisponde automaticamente il "meglio", sottende una concezione lineare della storia e rimanda a un modello tipicamente costruttivo. Ma il concetto di Fortschritt ha avuto una vita tutt'altro che pacifica: infatti ben presto si è affacciata prepotentemente sulla scena una visione ben diversa del progresso, che ha messo in crisi l'alone di gloria che sembrava accompagnarlo in dai suoi natali. In pochi luoghi è possibile misurare la crisi di questa gloriosa tradizione come nel capitalismo, dove l'ideologia dell'incremento quantitativo non ha portato ad alcun passo in avanti dal punto di vista qualitativo e in senso umano, ma piuttosto si è risolta in problemi globali e in dinamiche distruttive. Di fronte all'attestarsi di un progresso che è manifestazione di negatività, occorre mettere in guardia da un uso acritico della categoria del Fortschritt. È quanto sostiene Bloch in una conferenza tenuta nel 1955 e pubblicata l'anno successive con il titolo "Differenzierungen im Begriff Fortschritt". Come se non bastasse, sul fronte opposto c'è un'altra deriva da scongiurare: il problema che insorge sull'altro versante è quello di un totale rinnegamento del progresso. Si tratta di un errore teorico in cui molti sono caduti, e che segnala la necessità di una rilessione approfondita su questo tema. L'urgenza di interrogarsi sul "Was ist Fortschritt?" non deriva, per Bloch, dal fatto che il termine progresso sia di per sé poco chiaro e manifesto, ma semmai dal cattivo uso che ne è stato fatto Il primo passo da fare, secondo il programma blochiano di un recupero critico del "progresso", è quello di arginare gli intralci. Sono quei percorsi che sembrano condurre al Tiefenweg dell’Umano, e che invece si rivelano "vicoli ciechi" che non portano a nulla, o che sono costellati da botole che fanno ripiombare il viandante al punto di partenza. Da evitare sono inoltre quelle false piste che conducono in direzione contraria, nel senso opposto rispetto alla dimensione della Selbstbegegnung. Ciò che interessa a Bloch è denunciare le aporie contenute nel concetto stesso di "progresso", facendo afiorare quelle differenziazioni che lo rendono al contempo estremamente fragile ed ambiguo.
Sguardi al limite : Il tema della soglia nel pensiero letterario di Thomas Bernhard e di Ernst Bloch
(2008)
[...] Nelle riflessioni di Bernhard, come in quelle di Bloch, l'esilità del traciato di confine tra opera ed esistenza contribuisce a determinare profondamente lo statuto stesso della immagine e dello sguardo che la contempla. Di fronte a un'arte che è divenuta terreno incerto, l'occhio dello spettatore non può che muoversi in costante bilico, sull'orlo del precipizio, sulla linea di demarcazione tra il mondo irredento e quel regno outopico che la rappresentazione artistica rivela. Ciò che emerge da entrambe le letture è la consapevolezza della necessità di calarsi nelle crepe e negli abissi della realtà. In fondo questo è uno degli insegnamenti fondamentali di Bloch: è nelle buche e nelle lacune che costellano il terreno dell'esistenza che si annida il possibile sognato. Il confine (lo Zwischenraum) incollocabile, tra vita e arte, deve essere affrontato in tutta la sua problematicità funambolesca, e non tolto per mezzo della creazione di un universo fittizio. La relazione pendolare restituisce il senso della cornice mobile, come consapevolezza della impossibilità di tracciare una fisionomia nitida e definitiva del reale. Sia nella prospettiva di Bemhard sia in quella di Bloch l'immagine che tiene prigionieria l'umanita e l'idea della forma formata, una soluzione definiva posticcia e inautentica. La necessaria contromossa consiste allora nell'affidarsi a uno sguardo inquieto, perché consapevole di un'alterità che sempre sfugge.
Un titolo quale "Dialettica negativa e antropologia negativa" sembrerebbe preannunciare un lavoro di confronto tra Th. W. Adorno e Ulrich Sonnemann, sulla scia di una indicazione mutuata dalla "Introduzione" di "Dialettica negativa" (1966). E invece, disattendendo una simile aspettativa, la "Negative Anthropologie" cui ci si riferisce in questo saggio è quella di Günther Stern/Anders. L’idea di un confronto tra le due prospettive nasce dalla curiosità di capire la corrispondenza tra la "dialettica negativa" e l'"antropologia negativa", laddove con il secondo sintagma si intende la concezione andersiana di un'umanità inadeguata al mondo. Che poi non si tratti di una stranezza ma di un interrogativo legittimo lo conferma, indirettamente, lo stesso Adorno, che in una nota contenuta nella sezione della "Dialettica negativa" dedicata alla lettura del pensiero di Heidegger, chiama in causa proprio la lezione di Anders.
Sono brevi ma straordinariamente dense e suggestive le riflessioni che Ernst Bloch dedica alla Madonna Sistina nel corso del suo pensiero filosofico, a partire dalla sua prima opera "Spirito dell'utopia" (1918 e 1923) fino al tardo "Experimentum Mundi" (1974), passando per "Il principio speranza" (1947). Con queste "note a margine", Bloch non solo si inserisce a pieno titolo all'interno del dibattito tedesco novecentesco sullo spessore teorico della Sixtinische Madonna1, ma interpreta il dipinto di Raffaello come exemplum di quella dimensione utopica che innerva il suo pensiero. L'interesse che Bloch dimostra nei riguardi di questa insuperata icona occidentale è stato sicuramente influenzato dall'attenzione che hanno riversato su quest'opera alcuni dei suoi "autori di riferimento": da un lato Schopenhauer e Nietzsche, e dall'altro Goethe e Dostoevskij.
Queste note su memoria e oblio prendono le mosse da due fenomeni noti, pur nella loro enigmaticità, e apparentemente opposti come il déjà-vu e il jamais-vu. Accade qualcosa e si ha l'impressione che si stia ripetendo un evento già vissuto, oppure ci si trova in un luogo praticato da anni e, a un certo punto, letteralmente, non lo si riconosce più, percependolo come nuovo ed estraneo. Si tratta di sentimenti che, pur facendo parte dell'esperienza più comune, conservano un alone di opacità. Sia nella "familiarità estranea" sia nella "estraneità familiare" si ha a che fare con uno spaesamento, una vertigine emotiva che sulle prime fa retroagire la nostra comprensione. In entrambi i casi lo stupore si accompagna all'inquietudine: la portata dirompente del nuovo strappa fuori dal riparo delle proprie certezze, dall'impalcatura delle proprie conoscenze. Sono i momenti di interferenza di livelli temporali diversi, in cui alla finitudine dell'evento vissuto si giustappone l'illimitata dimensione del ricordo. La simultaneità delle sfere contrapposte, il loro cortocircuitare e sovrapporsi, dà luogo a uno spaesamento, che talvolta assume un carattere demonico, perturbante (unheimlich), per dirla con Freud. Il senso dell'Unheimlichkeit fa tutt'uno con il sentimento di angoscia o di terrore che si genera nella conversione dell'opposto, quando il noto diventa fonte di terrore, quando il familiare si fa estraneo, o anche quando l'estraneo appare come familiare. Il ritorno del rimosso, sotto forma di paure o desideri inconfessabili, rinvia ai conflitti dell'infanzia e alle fase arcaiche della vita umana. In questo senso rappresenta una "promessa" che il presente non ha saputo esaudire, e che sopravvive in tutta la sua carica sovversiva.
Parlare di Ernst Bloch e l'Espressionismo significa parlare del pensiero die Ernst Bloch nella sua complessità. Già per lo stile la sua prima opera, Geist der Utopie (Spirito dell'Utopie), scritta nel 1918 è spiccatamente espressionista. Ma, oltre allo stile, rientrano nalla cornice dell'Expressionismus anche alcuni temi artistici affrontati da Bloch in questa prima opera. Certo le considerazioni eposte da Bloch sull'arte espressionista in Spirito dell'utopia sono più in forma di flash, di accenno, piú pensieri estemporanei che riflessioni sistematiche.