BDSL-Klassifikation: 01.00.00 Allgemeine deutsche Sprach- und Literaturwissenschaft > 01.08.00 Zu einzelnen Germanisten, Literaturtheoretikern und Essayisten
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Islamophobia has arisen following to the event on 11 of September 2001 in Christian world. Remembering first reaction, all “Muslim” world was accused and new “Crusades” were on agenda. Concept and concept pairs of “Muslim Radicalism” “Muslim Terror” “Radical/Extreme Islam” “Radicalism” “Islamic” in pressor media after September 11 attacks and first shock. The aim was to differentiate “Islam” and terrorist who lost their identity via İslam. Representatives of the muslim world declared that these terrorist never represented Islam in any manner. The declaration was mutual and right. Despite mutual constructive efforts, due to discussion appeared after attacks, disintergration and polarization occured among believers of two monotheistic religions. In my opinion, regardless of place of birth, poets and writers who are philosopher, have specific issues national and local or world issues which they share, communicate and have information exchange on. Two main means of communication are philosophy and literature. The aim of the current paper is to discuss philosophic information included in “Avicenna and the Aristotelic Left” (Suhrkamp Verl.) by Ernst Bloch who lived in Tübingen released in 1963 and philosophic foundations of literature theory by Bertolt Brecht. My aim is to hope to declare that (Far) East and West have more in common compared to differences within limits of time and place given.
"Wirklich notwendig scheint nur das Vergangene, daran eben nicht mehr zu rütteln ist. Aber ist denn das Vergangene wirklich notwendig?" – so fragt Georg Lukács in seiner "Metaphysik der Tragödie", mit der die Essay-Sammlung 'Die Seele und die Formen' (1911) zu ihrem Abschluss kommt. Man kann Blochs 'Geist der Utopie' (1918) als den Versuch ansehen, eine breit angelegte negative Antwort auf diese Frage zu geben: Nein, das Vergangene ist keineswegs wirklich notwendig. Denn im Mittelpunkt von Blochs schwungvoll-pathetischen Überlegungen steht die Entdeckung eines Vermögens, dem es gelingt, die im Vergangenen schlummernde Zukunft zu befreien. Um diese ganz besondere Erfahrung zu bezeichnen, erfindet Bloch einen spezifischen Terminus: 'Eingedenken'. Hiermit führt er ein Konzept ein, das im deutsch-jüdischen Denken des 20. Jahrhunderts eine wichtige Rolle spielen wird, die noch nicht angemessen beleuchtet wurde.
Tra le parole che si sono prestate agli usi più difformi e ambigui c'è sicuramente il concetto di progresso. Il motivo del "Fortschritt", che si è affermato nel XVIII secolo in contrapposizione alla visione ciclica propria dell'antichità, era associato all'idea di un incremento della produttività e alla prospettiva di uno sviluppo della storia umana. Questa deinizione positiva del progresso, per la quale al "dopo" corrisponde automaticamente il "meglio", sottende una concezione lineare della storia e rimanda a un modello tipicamente costruttivo. Ma il concetto di Fortschritt ha avuto una vita tutt'altro che pacifica: infatti ben presto si è affacciata prepotentemente sulla scena una visione ben diversa del progresso, che ha messo in crisi l'alone di gloria che sembrava accompagnarlo in dai suoi natali. In pochi luoghi è possibile misurare la crisi di questa gloriosa tradizione come nel capitalismo, dove l'ideologia dell'incremento quantitativo non ha portato ad alcun passo in avanti dal punto di vista qualitativo e in senso umano, ma piuttosto si è risolta in problemi globali e in dinamiche distruttive. Di fronte all'attestarsi di un progresso che è manifestazione di negatività, occorre mettere in guardia da un uso acritico della categoria del Fortschritt. È quanto sostiene Bloch in una conferenza tenuta nel 1955 e pubblicata l'anno successive con il titolo "Differenzierungen im Begriff Fortschritt". Come se non bastasse, sul fronte opposto c'è un'altra deriva da scongiurare: il problema che insorge sull'altro versante è quello di un totale rinnegamento del progresso. Si tratta di un errore teorico in cui molti sono caduti, e che segnala la necessità di una rilessione approfondita su questo tema. L'urgenza di interrogarsi sul "Was ist Fortschritt?" non deriva, per Bloch, dal fatto che il termine progresso sia di per sé poco chiaro e manifesto, ma semmai dal cattivo uso che ne è stato fatto Il primo passo da fare, secondo il programma blochiano di un recupero critico del "progresso", è quello di arginare gli intralci. Sono quei percorsi che sembrano condurre al Tiefenweg dell’Umano, e che invece si rivelano "vicoli ciechi" che non portano a nulla, o che sono costellati da botole che fanno ripiombare il viandante al punto di partenza. Da evitare sono inoltre quelle false piste che conducono in direzione contraria, nel senso opposto rispetto alla dimensione della Selbstbegegnung. Ciò che interessa a Bloch è denunciare le aporie contenute nel concetto stesso di "progresso", facendo afiorare quelle differenziazioni che lo rendono al contempo estremamente fragile ed ambiguo.
C'est dans une de ses analyses les plus suggestives du concept de mort que Lévinas suggère une comparaison entre la pensée de Bloch et celle de Jankélévitch. Et cela, comme l'on sait, bien que Jankélevitch, à l'exception de Schelling, n'ait jamais eu d'intérêt particulier pour la culture allemande et ses auteurs. Le point de départ de ces pages très denses, qu'on lit dans "Dieu, la mort et le temps" (1993), est la relation entre le thème de la mort et le projet que Bloch considère, à l'instar de Jankélevitch, comme la tâche irréalisable à laquelle, pourtant, on ne peut renoncer.
Queste note su memoria e oblio prendono le mosse da due fenomeni noti, pur nella loro enigmaticità, e apparentemente opposti come il déjà-vu e il jamais-vu. Accade qualcosa e si ha l'impressione che si stia ripetendo un evento già vissuto, oppure ci si trova in un luogo praticato da anni e, a un certo punto, letteralmente, non lo si riconosce più, percependolo come nuovo ed estraneo. Si tratta di sentimenti che, pur facendo parte dell'esperienza più comune, conservano un alone di opacità. Sia nella "familiarità estranea" sia nella "estraneità familiare" si ha a che fare con uno spaesamento, una vertigine emotiva che sulle prime fa retroagire la nostra comprensione. In entrambi i casi lo stupore si accompagna all'inquietudine: la portata dirompente del nuovo strappa fuori dal riparo delle proprie certezze, dall'impalcatura delle proprie conoscenze. Sono i momenti di interferenza di livelli temporali diversi, in cui alla finitudine dell'evento vissuto si giustappone l'illimitata dimensione del ricordo. La simultaneità delle sfere contrapposte, il loro cortocircuitare e sovrapporsi, dà luogo a uno spaesamento, che talvolta assume un carattere demonico, perturbante (unheimlich), per dirla con Freud. Il senso dell'Unheimlichkeit fa tutt'uno con il sentimento di angoscia o di terrore che si genera nella conversione dell'opposto, quando il noto diventa fonte di terrore, quando il familiare si fa estraneo, o anche quando l'estraneo appare come familiare. Il ritorno del rimosso, sotto forma di paure o desideri inconfessabili, rinvia ai conflitti dell'infanzia e alle fase arcaiche della vita umana. In questo senso rappresenta una "promessa" che il presente non ha saputo esaudire, e che sopravvive in tutta la sua carica sovversiva.
Parlare di Ernst Bloch e l'Espressionismo significa parlare del pensiero die Ernst Bloch nella sua complessità. Già per lo stile la sua prima opera, Geist der Utopie (Spirito dell'Utopie), scritta nel 1918 è spiccatamente espressionista. Ma, oltre allo stile, rientrano nalla cornice dell'Expressionismus anche alcuni temi artistici affrontati da Bloch in questa prima opera. Certo le considerazioni eposte da Bloch sull'arte espressionista in Spirito dell'utopia sono più in forma di flash, di accenno, piú pensieri estemporanei che riflessioni sistematiche.
Anhand der Heimatkonzeption von Ernst Bloch soll der Begriff der 'Heimat' einer kritischen Betrachtung unterzogen werden. Grundlegende Merkmale in zeitlicher wie räumlicher Perspektive ausmachend, formuliert Bloch ein Heimatkonzept, das jenseits abgrenzender Selbst-Fremd-Dichotomien eine Zukunftsperspektive entwirft, die durch das Handeln gesellschaftlicher wie individueller Akteur:innen erst erreicht werden muss. Zusammen mit dem Raumkonzept der 'Nicht-Orte' von Marc Augé werden in Vicki Baums "Menschen im Hotel" (1929) Potenziale zukünftiger Heimatkonstruktionen nachgespürt und analysiert.
Wer freiwillig Umwege geht, versucht den Raum nicht zu dominieren oder schnellstmöglich von Punkt A nach Punkt B zu durchqueren; vielmehr geht er spielerisch und lustvoll auf die Landschaft ein, lässt sich von ihr leiten, indem er sich dem Eros ihrer Tiefe und Weite ausliefert. Der Umweg zwingt zur Langsamkeit. Er verführt den Leib stärker zur Genauigkeit der Wahrnehmung und zur Konkretheit der Erfahrung. Wer ihn eilend auf dem kürzesten Weg zu durchqueren versucht, sieht den Raum hingegen bloß als ein abstraktes Hindernis, das es zu überwinden gilt. Während die direkte Bewegung von Punkt A nach Punkt B eine endliche Strecke definiert, entwirft der Umweg einen reversiblen, unabschließbaren und prinzipiell unendlichen Raum. Die Umwegigkeit spielt mit dem Raum, bricht ihn ironisch, sie verzichtet auf die Strenge und Ernsthaftigkeit der geraden Linie und des direkten Weges.
Wenige andere Denker des vergangenen Jahrhunderts haben es vermocht, ein vergleichsweise vielfältiges, komplexes und gleichzeitig einheitlich inspiriertes, dazu einen unübertroffenen kulturellen Reichtum enthaltendes und ausstrahlendes Werk geschaffen zu haben, wie Ernst Bloch.
Ernst Bloch, geboren in Ludwigshafen am Rhein 1885, gestorben 1977 in Tübingen, ist mit seinem Werk in der Zwischenkriegszeit aufgetreten. Nach dem Studium von Philosophie, Germanistik, Physik und Musik promovierte er 1908 mit einer Arbeit über Heinrich Rickert. Hörer bei Georg Simmel, befreundet mit Georg Lukács, Margarete Susman, Max Scheler, verblieb er mit ihnen im Verhältnis eines regen intellektuellen Austausches, und selbst eine starke Individualität, ließ sein Bewußtsein zum gefühlt-reflektierten Begegnungsort werden sowohl der reichlich zu Jahrhundertanfang sich ausschüttenden künstlerisch-philosophischwissenschaftlichen Versuche (Expressionismus, Phänomenologie, Bergson, neue Physik, Marxismus) als auch der Erbschaft der alten Meister, zu denen er sich, trotz der trennenden Jahrhunderte, als Schüler bekannte: Aristoteles, Thomas von Aquin, Eckhart, Jakob Böhme, Kant, Fichte, Hegel und Goethe. Kaum ein anderer Denker unserer Zeit hat in sich solchen kulturellen Reichtum verarbeitet und in ein vielfältiges, umfassendes, mehrschichtiges Werk einfließen lassen.
Das erste Buch, 'Geist der Utopie' (1918), sollte eine Proklamation der neuen Philosophie sein. Mitten in der Darstellung der Atmosphäre des Jahrhundertanfangs: des Zerfalls, der Todesbedrohung, der Vermischung der bisher getrennten Sphären der Wirklichkeit, der Ahnungen des Endes der Welt und Neuanfangs und intensiver künstlerischer Selbstsuchen, gründete es eine Metaphysik, in der vom Dunkel des jeweils als Augenblick Gelebten ausgehend über dessen kulturelle Vermittlungen und Weltprozesse sein Adäquates, das Selbst der Menschen und somit das Wesen der Welt im Akt der Selbstbegegnung faßbar wären.