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L'obiettivo del presente articolo è quello di offrire una visione complementare a quella abituale del romanzo "Die Entdeckung der Currywurst" di Uwe Timm in cui vengano privilegiati gli aspetti del romanzo che lo identificano come opera di World Literature. Se fino ad ora il romanzo è stato principalmente letto come un romanzo tedesco di guerra, con questa lettura si intende far emergere gli aspetti che di esso oltrepassano i confini nazionali e linguistici. Per fare questo si osserveranno in breve i punti di contatto fra la WL e la letteratura postcoloniale, dalla quale la WL stessa ha origine. In particolare si concentrerà l'attenzione sugli elementi del romanzo che evidenziano il rapporto con le letterature e culture di oltre confine, come la cornice narrativa, in cui la narrazione principale si iscrive; le contaminazioni letterarie che emergono dal racconto e infine i numerosi esempi di relazione fra centro e periferia. Inoltre, verrà evidenziato come il periodo storico in cui il romanzo è ambientato, ovvero quello della 'Stunde Null', abbia esso stesso dei contatti intrinseci con le teorie postcoloniali. Si mostrerà come la tesi dell'afferenza del presente romanzo alla WL, sia sostenuta dal fatto che anche attraverso romanzi precedenti, Uwe Timm mostra un interesse spiccato nei confronti delle realtà degli altri paesi e continenti e dell’eredità coloniale dell'Europa.
Nella sua opera estrema, Teoria estetica, Adorno menziona Paul Valéry una ventina di volte. Già questo fatto basterebbe ad attestare l’importanza che Valéry riveste per la riflessione adorniana sull’arte e sull’estetico. Infatti Teoria estetica, sebbene costituita nel suo complesso da un corpus testuale di mole imponente, è avara di citazioni e sono tutto sommato pochi gli autori (sia artisti sia filosofi) i cui nomi ricorrono numerose volte tra le sue pagine. Oltre a Kant e Hegel, e oltre a Benjamin, più frequenti di Valéry sono solo Baudelaire, Beckett, Beethoven e Schönberg, mentre all’incirca egualmente frequenti sono Brecht, Goethe e Nietzsche. Vista la parsimonia con la quale Adorno centellina i propri referenti espliciti nel momento in cui compie il massimo sforzo di condensazione teorica di una lunga riflessione sull’estetico, sarebbe avventato relegare il dato della frequenza del nome di Valéry in Teoria estetica nel novero degli accidenti meramente estrinseci. L’impressione della rilevanza di tale riferimento risulta poi sicuramente rafforzata se si vanno a leggere i luoghi in cui viene effettuato il rimando a Valéry.
Quanto narrato da Franz Kafka nella Colonia penale (In der Strafkolonie, 1914) è forse troppo noto per raccontarne la trama. Mi limito a ricordare l'essenziale di questo racconto, che è uno die pochi pubblicati dall'autore in vita. Un viaggiatore approda, nel corso di una sua esplorazione, in una terra di nessuno, tra il noto e l'ignoto, tra il familiare e il perturbante. Si tratta di un’isola tropicale che è sede di una colonia penale. I Tropici di Kafka non presentano nulla di esotico; sono piuttosto il luogo della extraterritorialità par excellence, di una "civiltà" arcaica amministrata da una legge brutale, disumana e palesemente ingiusta. Lo strumento di questa "barbarie" è una macchina omicida, che prima era in auge, ma che ormai – essendo stata messa al bando dal nuovo comandante della colonia – ha assunto le sembianze di un relitto del passato. Rispetto a questo vecchio macchinario, che associa al dolore fisico l'ordine sociale, si sta infatti ormai affermando un nuovo paradigma, simbolo di un sistema più moderato. Il funzionamento dell'apparecchio in dismissione, posto in un insolito campo di sperimentazione, viene illustrato all'esploratore da parte di uno zelante oratore. È un ufficiale, orgoglioso e fedele custode "nei tempi nuovi" del macchinario di ieri, ma soprattutto convinto avvocato difensore della tecnica come barbarie.
i può probabilmente acconsentire a quel giudizio di Francesco Guicciardini che le capacità, il talento e la saggezza del principe si specchiano anche nella scelta dei suoi ambasciatori. È perciò un aspetto molto affascinante di questo libro il mettere a fuoco gli attori ed esecutori dei potentati ed esaminare la loro interazione e comunicazione con il reggente. Sembra particolarmente interessante studiare gli incaricati di missioni diplomatiche di Massimiliano I visto che queste diedero il via all’ascesa della sua casata – non solo nei regni iberici ma anche in Boemia ed in Ungheria – non per mezzo della guerra, ma mediante la diplomazia, attraverso le trattative e le negoziazioni matrimoniali. Gregor Metzig che dichiara di volersi distaccare, con la sua tesi di dottorato, dalla «storiografia diplomatica convenzionale» e dalla tendenza classica a considerare la «politica europea» di Massimiliano come una «semplice catena di avvenimenti alternanti tra guerre, tregue e riprese delle ostilità tra le case rivaleggianti» (2), si mette sulle tracce di queste persone abili e valenti, gli ambasciatori, che operarono con, per e all’ombra di Massimiliano I e che sono spesso cadute vittime dell’oblio. ...
La sfida del nominalismo alla realtà degli universali (sia in filosofia che in teologia) è stata un motore del pensiero moderno. Tradotta in termini estetici, ha favorito la resistenza alle generiche convenzioni e ha contribuito a minare le nozioni essenzialiste della forma estetica. Theodor W. Adorno ebbe una risposta tipicamente dialettica al nominalismo, plaudendo alla sua sovversione delle reificazioni categoriche, ma allarmato dal suo livellamento indiscriminato della distinzione tra concetto e oggetto, che poteva anche cancellare la distinzione tra opere d'arte e oggetti di uso quotidiano. In termini musicali, ha apprezzato l'enfasi nominalista sui singoli lavori rispetto alle generiche categorie formali e ha elogiato la rivoluzione atonale di Arnold Schoenberg. Ma era anche consapevole del fatto che, portato all'estremo, il nominalismo poteva condurre al dominio soggettivo di una natura considerata priva di proprie caratteristiche essenziali. Nella sua tardiva riflessione sulla musique informelle, ammirò una musica che evitava sia le categorie reificate che il dominio soggettivo dell'apparente contingenza del mondo materiale, una musica che esprimeva un nominalismo che avrebbe potuto essere meglio chiamato "magico" piuttosto che "convenzionale".
Il saggio propone una ricostruzione critica della concezione di impegno e di politicità della letteratura formulate da Brecht e da Adorno. Concezioni opposte che possono essere considerate le formulazioni più efficaci delle due posizioni predominanti nel dibattito estetico del Novecento.
Adorno fonda la politicità della letteratura sulla sua autonomia e sulla liberazione della forma. La politicità dell’arte scaturisce per lui dal rifiuto della discorsività, dalla aggressiva sottrazione del senso, dalla esposizione del negativo. La sua è una concezione dell’impegno elitaria che subordina il discorso artistico a quello filosofico. Brecht fonda la possibilità politiche della letteratura sulla consapevolezza della medialità dell’esperienza. Può essere rivoluzionario solo l’autore che ha riflettuto sulle mediali condizioni della propria produzione e produce opere che non sono espressione di una soggettività ma lavoro alla trasformazione e al cambiamento di funzione dei dispositivi mediali e delle istituzioni in cui agisce.
Amidi ed imidi tartariche
(1917)
Una notte del 1749 la giovane ebrea romana Anna del Monte, diciottenne membro di un’importante famiglia del ghetto, fu prelevata in casa dagli sbirri e condotta alla Pia Casa dei Catecumeni – un’istituzione fondata nel 1542/43 per ospitare coloro che intendevano convertirsi al cattolicesimo. Nel caso di Anna, si voleva sondare la sua volontà di convertirsi e indurla a compiere tale passo. Questo rapimento era una misura legale – come è noto anche dai lavori di Marina Caffiero –che poteva colpire qualunque ebreo fosse accusato di aver manifestato il desiderio o l’intenzione di convertirsi al cattolicesimo – ma anche colui o colei che un convertito avesse »offerto« alla fede cristiana, qualora il neofito potesse rivendicare su di lui/lei la patria potestas, interpretata in senso lato. Era stato un sedicente promesso sposo – il neofito Sabato Coen – ad offrire alla fede Anna del Monte, probabilmente con la speranza di stipulare un matrimonio vantaggioso al quale egli avrebbe potuto difficilmente ambire, considerando le sue umili origini. Anna fu trattenuta ai Catecumeni per 13 giorni, dei quali tenne il novero mettendo da parte una delle due uova che le venivano portate quotidianamente su sua richiesta. Durante l’internamento resistette ai tentativi conversionistici, alle lusinghe e alle minacce di ecclesiastici e neofiti e finanche al maldestro tentativo di battesimo di un predicatore, che cercò di perfezionare il rito gettandole addosso dell’acqua – tentativo al quale la giovane reagì dichiarando di non voler aver nulla a che fare con le sue "superstizioni" e di subire il gesto come "se le avesse urinato addosso un cane". Salda nel rifiuto del battesimo, Anna fu infine restituita al ghetto. ...
I dolmen, spersi tra boschi e montagne di mezzo mondo, hanno costituito per secoli un mistero che ha dato alimento alle più fantastiche interpretazioni.
In realtà, essi furono il prodotto di una Cultura che scorgeva nell’Universo il Centro regolatore dell’esistenza umana: una preistorica abilità manuale diffusasi ovunque nel vecchio continente.
Negli ultimi anni anche la Sicilia va svelando la presenza di megaliti, sebbene di taglia inferiore rispetto a quelli atlantici...
Il saggio approfondisce l’opera di due artisti fondamentali degli ultimi decenni, ovvero Antoni Tàpies e Bill Viola. La loro produzione artistica riesce a sfuggire alla condanna che Th. W. Adorno fa di tutti quei movimenti che rimettono in questione il concetto di arte e la nozione di opera. Questi due artisti salvano lo statuto dell’arte nella società post-industriale, vale a dire in un momento in cui le trasformazioni profonde del sistema culturale rischiano di minacciare la sopravvivenza della creazione artistica, come se la razionalità estetica non potesse che abdicare davanti alla razionalità strumentale. Sono pochi i pittori che come Antoni Tàpies riescono a infondere alla materia inanimata un’irradiazione e una capacità di evocazione tanto intense, mentre per Bill Viola tutte le opere d’arte rappresentano cose invisibili e la stessa tecnologia digitale non è altro che una forma più pura per avvicinarsi a quelle realtà non fisiche e non visibili che stanno sotto alle cose visibili del mondo. La scommessa di Tàpies e Viola riguarda la sopravvivenza dell’arte nell’universo mercantile di una società sempre più amministrata e sottoposta agli imperativi economici; la loro produzione pare mirata a renderci consapevoli della nostra mortalità, offrendo immagini in grado di mettere in connessione la dimensione sensibile e quella spirituale, il visibile e l’invisibile, aprendo lo spazio a una trascendenza che sembrava completamente svanita.
Antonio Ghislanzoni conta indubbiamente tra i rappresentanti di rdievo dei librettisti italiani dellottocento. Attraverso documenti dellepoca, questo contributo intende gettare luce sulla sua collaborazione con Errico Petrella (1813-1 877), un contemporaneo di Giuseppe Verdi e, dopo questi, probabilmente loperista più in voga del periodo compreso tra il 1850 e il 1870. Seppure Ghislanzoni avesse elaborato gii precedentemente alcuni libretti, egli divenne noto al grande pubblico in realtà solo con i lavori per Petrella, allepoca assai popolare, e in particolare owiamente con il libretto tratto da "I promessi sposi". Grazie alla collaborazione con Verdi, che risale al medesimo periodo, la sua notorietà crebbe ulteriormente.
La tradizione funeraria dell’isola di Cipro prevede fin da età Geometrica ed Arcaica l’utilizzo di sepolture di tipo rupestre, in modo particolare di camere ipogee ricavate solitamente al di sotto del banco roccioso, che possono essere viste come uno sviluppo delle tombe a camera dell'età del Bronzo. A partire dalla fase di transizione da età Classica ad età Ellenistica, con la presenza tolemaica nell'isola, vengono importati nuovi modelli e le camere vengono regolarizzate e dotate di elementi "monumentali" interni. In questa sede si analizzano le tipologie della loculus chamber e le attestazioni di utilizzo dell'arcosolium nell'area delle antiche città di Paphos e Kourion.
The paper aims to investigate the impact of Axel Honneth’s work – in particular his theory of recognition – within sociology. After indicating the sociological elements of his theoretical proposal and comparing some current discussions, the paper sketches out the main empirical applications of the theory of recognition: contemporary identitarian configurations, the social exclusion of minority groups, social movements, intercultural relations and the changes in the world of work in late modern society. In the final part, the paper highlights some developments in contemporary sociological theory that could limit the sociological reception of Honneth’s work.
This study points out the methodological centrality assumed by the notion of “physiognomy”, both in Benjamin and in Adorno, namely the idea that the forms of the works of art, and generally those of the visual phenomena, are direct “expression”, in a micro-monadological way, of an historical-social sense, not otherwise attainable. On the one hand Benjamin’s physiognomy shows a particular interpretative “openness” to its objects, on the other that of Adorno remains subjected to an epistemological model of “totality”, from the Hegelian-Marxian tradition, which risks compromising the hermeneutic efficacy of its own original philosophical approach.