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Non è certo un caso se da quasi un secolo si parla di Austria infelix, per designare una cultura austriaca intrisa di dolore, o forse ancor meglio, per dirla con Jean Améry, di un Morbus Austriacus che si è propagato come in una forma di contagio. Non è forse ancora un caso se Winfried Georg (Max) Sebald ha intitolato la sua opera saggistica del 1985 – in cui ripercorre alcune delle tappe salienti dell'itinerario letterario austriaco come stazioni del dolore – "La descrizione dell'infelicità" ("Die Beschreibung des Unglücks"). Seguendo questa diagnosi sebaldiana, la causa della patologia dell'infelicità austriaca del XX secolo va ricercata nel sentimento, ambivalente e sofferto, di avversione e di ricerca della patria. Gli eventi traumatici del Novecento, e la consapevolezza delle colpe dell'Austria nel suo consenso al nazismo, hanno segnato in senso problematico l'identità culturale di questo paese, e con essa anche la cognizione del dolore. Oltre a Jean Améry, che ho sopra ricordato, penso ad autori del calibro di Thomas Bernhard, di Ingeborg Bachmann, di Peter Handke, ma anche alla poetessa di origine contadine Christine Lavant. Se c'è un tema di fondo che attraversa, come un filo sotterraneo, questo tracciato letterario è l'impotenza di fronte al dolore, e al contempo l'assunzione del pathos come elemento di rottura delle forme. La sofferenza informa di sé l'esistenza, e la deforma. E pur tuttavia, questa deformazione si attua secondo modalità diverse: il dolore fa urlare, ma anche ammutolisce, fa delirare o irrigidire, straripa dalle forme e pietrifica, se esige di essere espresso, cozza contro i limiti del linguaggio.
Il pensiero di Günther Stern/Anders (1902-1992) non è mai stato al centro del dibattito filosofico e questo nonostante le sue teorie si siano spesso rivelate tragicamente attuali. C'è da dire che lo stesso Anders ha fatto di tutto per collocarsi in una posizione eccentrica, rifiutando con sdegno e indignazione i compromessi della carriera accademica, prendendo le distanze da alcuni autori che pure rientrano nel suo stesso orizzonte teoretico (Adorno, Arendt, Bloch e Lukács, ad esempio), ma soprattutto sostenendo alcune posizioni estreme e radicali, provocatorie e intransigenti. Un filosofo della esagerazione, potrebbe essere definito, un pensatore che ha programmaticamente eletto il concetto della Übertreibungskunst a sigla del suo metodo speculativo. Era infatti sua ferma convinzione che occorresse deformare per constatare (o anche contestare), per scuotere l'indifferenza di una società dominata e schiacciata dalla tecnica. In un mondo completamente sordo – spiega Anders – si fa necessario urlare le proprie considerazioni affinché arrive all'orecchio di qualcuno almeno una loro flebile eco. Una strategia della esagerazione che ha sortito come effetto quello di fare di lui una "Cassandra della filosofia", un "creatore di panico" o, nel migliore di casi, un pensatore scomodo, che conveniva tenere da parte, confinandolo nella periferie, o magari saccheggiare di nascosto, piuttosto che citare esplicitamente. La delusione per l'ostinata sordità del mondo nei confronti dei suoi ripetuti e disperati appelli ha segnato le sue ultime riflessioni, declinandole in toni aggressivi. Intollerante nei confronti di qualunque compromesso ipocrita, la "filosofia della disperazione" andersiana si è arroccata su toni sempre più aspri e ostinati, intransigenti fino al punto di legittimare persino la violenza con la necessità dell'autodifesa. Non stupisce il fatto che, alla fine della sua esistenza, al suo seguito non ci fosse che uno sparuto gruppo di fans, estimatori che Anders non ha mancato di scoraggiare e deludere, con l'assunzione di posizioni sempre più radicali.
In tutte le sue diverse declinazioni, il dissenso nei riguardi della propria patria costituisce un motivo centrale e ricorrente nella cultura austriaca del Novecento. Come in una sorta di contagio il carattere distruttivo, soprattutto nel Secondo dopoguerra, si è diffuso – e continua a diffondersi – ad ampio raggio: esempi emblematici sono offerti da Peter Handke, con i suoi "insulti all'Austria" urlati dall'esilio francese, dalla prosa sofferta di Ingeborg Bachmann, che ha riparato a Roma, dalla scrittura caustica del Premio Nobel Elfriede Jelinek, o da quella estrema di Werner Schwab. Ma anche da autori meno noti, come Anna Mitgutsch, che, dagli Stati Uniti, non manca di esternare la sua avversione nei confronti del paese d'origine, o dai toni aspri dello scrittore Robert Menasse. Lo steso vale per il campo cinematografi co, con il cinema a tinte forti di Ulrich Seidl. Una passion durevole, quella degli austriaci per i toni antipatriottici, una tradizione che vanta come anticipatore il sacro nome del grande polemista Karl Kraus, o forse, ancor prima, affonda le sue radici nel teatro di Raimund Nestroy. Se l'ostilità per l'Austria sembra un Leitmotiv della grande retorica austriaca, Thomas Bernhard (1931-1989) può essere a giusto titolo considerate non solo come il legittimo erede di questa grande tradizione, ma anche come il suo massimo rappresentante. Ereditare signifi ca infatti fare i conti in modo cinico e rischioso con l'orizzonte vitale e culturale a cui si appartiene e che ci appartiene. Autore diffi cile, maniacale, irriverente ed eccessivo, Bernhard si è imposto all'attenzione del grande pubblico per la sua appassionata denuncia dell'universo austriaco, e della sua atmosfera piccolo-borghese, conformista, ottusamente fi loclericale. I suoi frequenti interventi pubblici – ora raccolti e pubblicati con il titolo Meine Preise – presentano come unico obiettivo la provocazione, e di fatto hanno suscitato scandali, polemiche. Un esempio per tutti è il discorso tenuto nel 1967 per il Conferimento del "Premio Nazionale Austriaco per la Letteratura": "Noi siamo austriaci, siamo apatici, siamo la vita intesa come ignobile disinteresse nei confronti della vita, siamo, nel processo naturale, la megalomania intesa come futuro". Un testo scritto con un inchiostro che è succo di nervi. Ma questa è solo una delle tante puntate che vedono Bernhard in polemica con i suoi connazionali, e che hanno contribuito a designarlo come un Nestbeschmutzer. È questa una visione decisamente riduttiva. Lo humour nero bernhardiano, che di certo ci ha regalato pagine irresistibili, nasce da un sentimento di amore e odio nei confronti dell'Austria. Per dirla in altri termini, è sintomo non di una nevrastenica insofferenza (di cui poco ci importerebbe), quanto piuttosto di una Unheimlichkeit, di un sofferto legame con l'origine. Su questo punto, per ora solo accennato, avrò occasione di tornare.
This paper examines how questions, both Wh-questions and yes-no questions, are phrased in Chimwiini, a Bantu language spoken in southern Somalia. Questions do not require any special phrasing principles, but Wh-questions do provide much evidence in support of the principle Align-Foc R, which requires that focused or emphasized words/constituents be located at the end of a phonological phrase. Question words and enclitics are always focused and thus appear at the end of a phrase. Although questions do not require any new phrasing principles, they do display complex accentual (tonal) behavior. This paper attempts to provide an account of these accentual phenomena.
This paper presents a preliminary survey of the positions and prosodies associated with Wh-questions in two Bantu languages spoken in Malawi. The paper shows that the two languages are similar in requiring focused subjects to be clefted. Both also require 'which' questions and 'because of what' questions to be clefted or fronted. However, for other non-subjects Tumbuka rather uniformly imposes an IAV (immediately after the verb) requirement, while Chewa does not. In both languages, we found a strong tendency for there to be a prosodic phrase break following the Wh-word. In Tumbuka, this break follows from the general phrasing algorithm of the language, while in Chewa, I propose that the break can be best understood as following from the inherent prominence of Wh-words.
This paper sketches the morphosyntactic and prosodic properties of questions in Fipa, discussing three varieties: Milanzi, Nkansi and Kwa. The general word order and morphological patterns relevant to question structures are outlined and different types of wh-question constructions are described and tentatively linked to the prosodic features of Fipa questions.
The purpose of this paper is to show how WH questions interact with the complex tonal phenomena which we summarized and illustrated in Hyman & Katamba (2010). As will be seen, WH questions have interesting syntactic and tonal properties of their own, including a WH-specific intonation. The paper is structured as follows: After an introduction in §1, we successively discuss non-subject WH questions (§2), subject WH questions (§3), and clefted WH questions (§4). We then briefly present a tense which is specifically limited to WH questions (§5), and conclude with a brief summary in §6.
This questionnaire is intended as an aid to eliciting different question types, including yes/no questions, alternative questions, and wh-questions on a range of constituents. We have taken care to include examples that allow one to test for common Bantu phenomena, such as a subject/non-subject asymmetry in wh-questions and an obligatory immediately after the verb (IAV) position for questioning verb complements. The questionnaire is intended as a guide, only, as every language will have its own set of possibilities and complications. At the end of the questionnaire is a checklist. While we had Bantu languages in mind in devising the questionnaire, we hope it will also be useful to linguists with an interest question constructions in other languages.
L'article étudie les diverses façons de poser des questions partielles en Embosi (C25). D'une part, la langue possède deux ensembles de pronoms/déterminants interrogatifs: 1) nda/nde, nda renvoyant aux animés et nde aux non-animés, 2) des mots interrogatifs en accord de classe avec le nom qu'ils déterminent ou qu'ils remplacent, segmentalement homophones des démonstratifs. Ces deux catégories de marqueurs appellent des réponses de nature différente. Par ailleurs, deux ensembles de constructions sont possibles pour les questions partielles portant sur le sujet, l'objet direct ou indirect: les constructions avec relatives et les constructions in situ. Les questions partielles sur le lieu, la cause, la manière se posent avec des adverbes et n'admettent que les constructions in situ. Sur le plan prosodique, il n'y a ni intonation ni groupement prosodique spécifique pour les questions partielles en Embosi. Leur seule caractéristique prosodique est un ton H facultatif (variable selon les locuteurs) sur la finale du mot qui précède le mot interrogatif.
The interaction between Syntax and Phonology has been one area of interesting empirical research and theoretical debate in recent years, particularly the question of the extent to which syntactic structure influences phonological phrasing. It has generally been observed that the edges of the major syntactic constituents (XPs) tend to coincide with prosodic phrase boundaries thus resulting in XPs like subject NPs, object NPs, Topic NPs, VPs etc. forming separate phonological phrases. Within Optimality Theoretic (OT) accounts, this fact has been attributed to a number of well-motivated general alignment constraints. Studies on relative clauses in Bantu and other languages have significantly contributed to this area of research inquiry where a number of parametric variations have been observed with regard to prosodic phrasing. In some languages, XPs which are heads of relatives form separate phonological phrases while in others they phrase with the relative clauses. This paper makes a contribution to this topic by discussing the phrasing of relatives in Ciwandya (a Bantu language spoken in Malawi and Tanzania). It shows that XPs which are heads of restrictive relative clauses phrase with their relative verbs, regardless of whether they are subjects, objects or other adjuncts. A variety of syntactic constructions are used to illustrate this fact. The discussion also confirms what has been generally observed in other Bantu languages concerning restrictive relatives with clefts and non-restrictive relative clauses. In both cases, the heads of the relatives phrase separately. The paper adopts an OT analysis which has been well articulated and defended in Cheng & Downing (2007, 2010, to appear) Downing & Mtenje (2010, 2011) to account for these phenomena in Ciwandya.
Introduction
(2011)
In spite of this long history, most work to date on the phonology-syntax interface in Bantu languages suffers from limitations, due to the range of expertise required: intonation, phonology, syntax. Quite generally, intonational studies on African languages are extremely rare. Most of the existing data has not been the subject of careful phonetic analysis, whether of the prosody of neutral sentences or of questions or other focus structures. There are important gaps in our knowledge of Bantu syntax which in turn limit our understanding of the phonology-syntax interface. Recent developments in syntactic theory have provided a new way of thinking about the type of syntactic information that phonology can refer to and have raised new questions: Do only syntactic constituent edges condition prosodic phrasing? Do larger domains such as syntactic phases, or even other factors, like argument and adjunct distinctions, play a role? Further, earlier studies looked at a limited range of syntactic constructions. Little research exists on the phonology of focus or of sentences with non-canonical word order in Bantu languages. Both the prosody and the syntax of complex sentences, questions and dislocations are understudied for Bantu languages. Our project aims to remedy these gaps in our knowledge by bringing together a research team with all the necessary expertise. Further, by undertaking the intonational, phonological and syntactic analysis of several languages we can investigate whether there is any correlation among differences in morphosyntactic and prosodic properties that might also explain differences in phrasing and intonation. It will also allow us to investigate whether there are cross-linguistically common prosodic patterns for particular morpho-syntactic structure.
We show that wh-words are a tool to investigate the prosodic structure of Bàsàa. Our claim is that the end of an Intonation Phrase (IP) can be identified by the presence of a long vowel on the wh-word. We propose that wh-words, which sometimes surface as C´V and sometimes as C´V´V, are underlyingly of the C´V form and they introduce a floating H. Whenever the association of this floating H with the first tone bearing unit that follows the wh-word is prevented by the presence of an IP boundary, a mora is created on the wh-word in order to realize the floating H. We briefly discuss the interface approach of Immediately After the Verb (IAV) focus (Costa and Kula, 2008) and we show that Bàsàa wh-questions and answers do not support this hypothesis. Finally, Bàsàa fronted whphrases, just like Hausa’s fronted foci (Leben et al., 1989), seem to provide support to the idea that intonational effects are also at play in the present tone language.
High grade gliomas, including anaplastic glioma WHO grade III and glioblastoma WHO IV (GBM), carry a dismal prognosis. Taking all nowadays-available therapeutics options, including radiation, chemotherapy and surgery, for GBM into consideration the prognosis after initial diagnosis is about 12 month. Despite this bad prognosis, researchers gained a tremendous insight into the molecular and genetic signatures of low and high grade gliomas. Several different subtypes of GBM were demonstrated with respect to their genetic background. These genetic alterations include p53 mutation in secondary GBMs and EGFR amplification in primary GBMs, respectively. Very recently, great excitement was raised after the discovery of IDH1 mutation in low-grade gliomas and secondary GBMs. This discovery is of great significance since it allows further categorizing of GBMs and is helpful in distinguishing low-grade gliomas from non-neoplastic adjacent brain tissue. Despite all this progress there is an urgent need for fresh additional therapeutic strategies. In addition to the identification of novel therapeutic regimens it is of utmost importance to gain an understanding about the molecular mechanisms on how GBMs manage to evade from almost any anti-cancer treatment regimen. In experimental models of glioblastoma there are a number of novel therapeutic regimens that exhibited promising results. These novel therapeutics include, but are not limited to: Apoptosis-based therapeutics (Tumor necrosis factor alpha related apoptosis inducing ligand, TRAIL), tyrosinkinase-inhibitors, Heat-shock-protein 90 (HSP90) inhibitors, polyphenols, novel drug combinations and intracranial application based strategies. This chapter will primarily review and focus on molecular mechanisms of resistance in GBM and rising new therapeutic venues for high-grade gliomas. High-grade gliomas are a group of primary heterogenous tumors of which glioblastoma World Health Organisation, WHO IV (GBM), is the most common one. Once the diagnosis of GBM is made, the average survival time is approximately 12-15 month (Hegi, Diserens et al., 2005). Treatment usually consists of temozolomide (commonly used chemotherapeutic drug for the treatment of GBM, TMZ), radiation (either alone or in combination with chemotherapeutics) and surgery (Hegi, Diserens et al., 2005)...
Application of the liposuction techniques and principles in specific body areas and pathologies
(2011)
The buttocks have been a symbol of attraction, sexuality and eroticism since ancient times and therefore, they have an important role in defining the posterior body contour. More and more people are talking about and understand the meaning and the role that buttocks play in modeling and physical beauty. The three dimensional gluteoplasty (3-DGP) is an innovative technique that allows us to change volume, shape and firmness, not only in the buttocks but also in the adjacent regions such as the thighs and trochanters, becoming an ideal tool to answer the frequent reasons of consultation of our patients about this particular area of the body: ...
There are many tools available that are used to evaluate a radiotherapy treatment plan, such as isodose distribution charts, dose volume histograms (DVH), maximum, minimum and mean doses of the dose distributions as well as DVH point dose constraints. All the already mentioned evaluation tools are dosimetric only without taking into account the radiobiological characteristics of tumors or OARs. It has been demonstrated that although competing treatment plans might have similar mean, maximum or minimum doses they may have significantly different clinical outcomes (Mavroidis et al. 2001). For performing a more complete treatment plan evaluation and comparison the complication-free tumor control probability (P+) and the biologically effective uniform dose (D ) have been proposed (Källman et al. 1992a, Mavroidis et al. 2000). The D concept denotes that any two dose distributions within a target or OAR are equivalent if they produce the same probability for tumor control or normal tissue complication, respectively (Mavroidis et al. 2001)...
Temporal regularity allows predicting the temporal locus of future information thereby potentially facilitating cognitive processing. We applied event-related brain potentials (ERPs) to investigate how temporal regularity impacts pre-attentive and attentive processing of deviance in the auditory modality. Participants listened to sequences of sinusoidal tones differing exclusively in pitch. The inter-stimulus interval (ISI) in these sequences was manipulated to convey either isochronous or random temporal structure. In the pre-attentive session, deviance processing was unaffected by the regularity manipulation as evidenced in three event-related-potentials (ERPs): mismatch negativity (MMN), P3a, and reorienting negativity (RON). In the attentive session, the P3b was smaller for deviant tones embedded in irregular temporal structure, while the N2b component remained unaffected. These findings confirm that temporal regularity can reinforce cognitive mechanisms associated with the attentive processing of deviance. Furthermore, they provide evidence for the dynamic allocation of attention in time and dissociable pre-attentive and attention-dependent temporal processing mechanisms.
Koreferenzielle Pro-Formen im Deutschen und Italienischen : Analyse von Korpora gesprochener Sprache
(2011)
Gegenstand dieses Beitrags ist die vergleichende Untersuchung von deutschen und italienischen verweisenden Pronomen. Für das Deutsche wird die Alternanz zwischen der/die/ das (im Folgenden d-Pronomen; vgl. Ahrenholz 2007 und Wiltschko 1998) und Personalpronomen betrachtet. Für das Italienische werden Demonstrativ- und Personalpronomen (freie und klitische) untersucht. In vorherigen Forschungsarbeiten wurde auf semantische, syntaktische und pragmatische Bedingungen hingewiesen, die das Vorkommen von d-Pronomen anstatt anderer Pronominalformen wie z.B. den Personalpronomen im Deutschen stark begünstigen (vgl. dazu Ravetto 2009). Ziel dieser Arbeit ist, zu überprüfen, ob in den zwei Vergleichssprachen ähnliche Tendenzen bzw. Bedingungen zu beobachten sind, die mit der Wahl der jeweiligen verweisenden Form verknüpft sind.
Neue Vorschläge in der Valenzlexikographie am Beispiel des spanisch-deutschen Verbvalenzwörterbuchs
(2011)
Structural biology and life sciences in general, and NMR in particular, have always been associated with advanced computing. The current challenges in the post-genomic era call for virtual research platforms that provide the worldwide research community with both user-friendly tools, platforms for data analysis and exchange, and an underlying e-Infrastructure. WeNMR, a three-year European Commission co-funded project started in November 2010, groups different research teams into a worldwide virtual research community. It builds on the established eNMR e-Infrastructure and its steadily growing virtual organisation, which is currently the second largest VO in the area of life sciences. WeNMR provides an e-Infrastructure platform and Science Gateway for structural biology. It involves researchers from around the world and will build bridges to other areas of structural biology.
"Alle Museen, nur nicht die Kunstmuseen, sind Friedhöfe der Dinge", schreibt Boris Groys in seinem Buch 'Logik der Sammlung', denn was in Museen gesammelt wird, "ist seiner Lebensfunktion beraubt, also tot. Das Leben des Kunstwerks beginnt dagegen erst im Museum". Doch gilt dies auch für das literarische Kunstwerk? Offensichtlich nicht. Literarische Kunstwerke muss man lesend erfassen: unter einem Baum sitzend, auf einem Sofa liegend, im Stehen, während man auf den Bus wartet. Literatur kann man nicht betrachten wie ein Bild, wie eine Skulptur – sie besitzt als ein Objekt, das sich erst im Vollzug von Leseakten konstituiert, zunächst einmal überhaupt keinen Bildcharakter und mithin überhaupt keinen Ausstellungswert: Ein Buch, das man nur anschaut, bleibt tot. Erst wenn man es aufschlägt, darin blättert, darin liest, wird es lebendig. Mit einem Wort: Bei einem Text gibt es nichts zu sehen! Ein Umstand, der auch von einigen Ausstellungsmacherinnen schmerzlich bemerkt wird. [...] Umso dringlicher stellt sich die Frage, wie sich Literatur – sei es in Form von Büchern, sei es in Form von Texten, die vor, nach oder neben der Buchwerdung von Literatur existieren - im musealen Bühnenrahmen in Szene setzen lässt: Wie kann das Museum zu einem "Schauplatz" von Literatur werden?
Was zeigt man, wenn man 'Literatur' zeigt – und was zeigt sich im Rahmen dieser "Schau"?
Logik der Streichung
(2011)
Was meinen wir eigentlich, wenn wir sagen: Ein Wort, ein Satz, ein Abschnitt, eine Seite wurde gestrichen. Was ist, mit anderen Worten, das Synonym dessen, was wir als Streichen bezeichnen? Es gibt verschiedene Möglichkeiten: Man kann das Streichen als ein Löschen, als ein Tilgen begreifen. Oder aber als Spur eines korrigierenden Überarbeitens: eines Umschreibens im Sinne des Ersetzens und Kürzens, aber auch im Sinne eines Überschreibens.
Schreiben hat den Charakter eines intentionalen Aktes – es setzt die willentliche Entscheidung zur Produktion und zur Positionierung einer Buchstabenfolge voraus. Auch das Streichen hat den Charakter eines intentionalen Aktes – nämlich die bereits produzierten Buchstabenfolgen willentlich zu verneinen, sie zu verwerfen. Almuth Gresillon spricht im Kapitel "La rature " ihres Buchs "La mise en ceuvre" von der "existence double", die der graphischen Materialitat der Streichung einen ambivalenten Charakter verleiht.
Diese doppelte Existenz der Streichung - worin besteht sie?
Erstens: Streichungen hinterlassen sichtbare Spuren auf dem Papier.
Zweitens: Schreibspuren werden durch eine Streichung nicht annulliert.
Im 48. Kapitel von Robert Musils "Mann ohne Eigenschaften" lesen wir folgende Beschreibung des deutschen Finanzmagnaten und 'Großschriftstellers' Paul Arnheim: "Die Ausflüge in Gebiete der Wissenschaften, die er unternahm, um seine allgemeinen Auffassungen zu stützen, genügten freilich nicht immer den strengsten Anforderungen. Sie zeigten wohl ein spielendes Verfügen über eine große Belesenheit, aber der Fachmann fand unweigerlich in ihnen jene kleinen Unrichtigkeiten und Mißverständnisse, an denen man eine Dilettantenarbeit so genau erkennen kann, wie sich schon an der Naht ein Kleid, das von der Hausschneiderin gemacht ist, von einem unterscheiden läßt, das aus einem richtigen Atelier stammt. Nur darf man durchaus nicht glauben, daß das Fachleute hinderte, Arnheim zu bewundern." Auch wenn es so scheinen mag, als werde mit diesem Zitat der Rahmen der romantischen Schöpfungsästhetik gesprengt: Hier klingen einige Leitmotive nach, die 'um 1800' die Auseinandersetzung um den 'wahren Künstler' bestimmen. So könnte man fragen, ob der Großschriftsteller Arnheim in der zitierten Passage nicht nur als Dilettant, sondern auch als Virtuose markiert .wird. Als dilettantischer Nicht-Fachmann genügt er nicht immer den "strengsten Anforderungen", zeichnet sich aber durch ein "spielendes Verfügen" über sein angelesenes Wissen aus. Deutet der Umstand, dass ihn die Fachleute bewundern, darauf hin, dass Arnheims "spielendes Verfügen" als virtuose Verbindungsgabe Ansehen findet, auch wenn die Nahtstellen die Dilettantenarbeit erkennen lassen? Und warum wird die Dilettantenarbeit mit der Naht der Hausschneiderin in Analogie gesetzt? Ganz abgesehen davon, dass mit der Maßschneiderei generell das Problem der Angemessenheit aufgeworfen wird: Warum sollte die Hausschneiderin schlechter nähen als das richtige Atelier?
Das Phänomen Pornografie hat viele Seiten. Man kann die soziale Zirkulation von Pornografie untersuchen, kognitive Voraussetzungen und Folgen ihres Konsums erklären, Rechtsnormen für den Umgang mit ihr aufstellen oder Darstellungsverfahren und Inszenierungsformen pornografischer Werke beschreiben. Dem letztgenannten Aspekt gelten die folgenden Überlegungen. […] Es wird keiner der üblichen Gründe in Anspruch genommen, um sich mit Pornografie zu beschäftigen – nämlich die Pornografie insgeheim in etwas anderes, Unproblematischeres zu verwandeln oder sie ästhetisch oder politisch aufzuwerten oder aber sie ideologiekritisch zu entlarven. Ich möchte Pornografie weder feiern noch verwerfen, sondern beschreiben. Mein Interesse gilt der Art und Weise, wie schlichte pornografische Interneterzählungen von Amateur-Autoren gemacht sind. Die Machart von Pornografie ist von ihren gesellschaftlichen Funktionen und psychologischen Wirkungen zu unterscheiden und verlangt nach eigenständiger Untersuchung. Denn die Zuweisung von Funktionen und Wirkungen hängt davon ab, wie Pornografie als sinnhaftes Phänomen konstituiert und angeeignet wird.
Figur
(2011)
Wenn literarische Geschichten ('mythoi') gemäß der Bestimmung des Aristoteles "menschliche Handlungen" darstellen ('mimesis praxeōs'; Aristoteles 1982, 1449b), dann sind die Akteure dieser Handlungen zweifellos ein zentrales Element von Erzählungen, genauer gesagt: eine Grundkomponente der erzählten Welt (Diegese). Die Bewohner der fiktiven Welten fiktionaler Erzählungen nennt man 'Figuren' (engl. 'characters'), um den kategorialen Unterschied gegenüber 'Personen' (oder 'Menschen') hervorzuheben. Autoren fiktionaler Texte erfinden Figuren, Autoren faktualer Texte berichten von Personen. Aus diesem Unterschied folgen einige Besonderheiten, die Figuren. Fiktionaler literarischer Welten sowohl von der Darstellung realer Personen in faktualen Texten wie auch von der Wahrnehmung realer Personen in unserer Alltagswelt unterscheiden.
Figuren müssen nicht menschlich oder menschenähnlich sein. Viele literarische Akteure besitzen phantastische Qualitäten, die mit dem Begriff einer Person unvereinbar sind – man denke an die tierischen Handlungsträger in Fabeln. Selbst unbelebte Dinge wie Roboter in der Science Fiction oder die titelgebenden Protagonisten des Grimmschen Märchens "Strohhalm, Kohle und Bohne" können in der Fiktion zu Handlungsträgern und damit zu Figuren werden. Gibt es überhaupt eine notwendige Voraussetzung dafür, dass ein Textelement als eine Figur gelten kann? Das einzige unerlässliche Merkmal für den Status einer Figur ist wohl. dass man ihr Intentionalität, also mentale Zustände (Wahrnehmungen, Gedanken, Gefühle, Wünsche, Absichten) zuschreiben können muss.
Erzählen
(2011)
Was ist Erzählen? Erzählen ist eine sprachliche Handlung: Jemand erzählt jemandem eine Geschichte. An dieser Handlung lassen sich – in Analogie zu der linguistischen Grundeinteilung zwischen der Pragmatik, Semantik und Syntax der Sprache – drei Dimensionen unterscheiden.
(a) Erstens ist das Erzählen eine Sprachhandlung, die in einem bestimmten Kontext zwischen einem Erzähler und einem oder mehreren Rezipienten stattfindet. Diese Kommunikation kann unterschiedlich gestaltet sein, beispielsweise als mündliches Erzählen mit kopräsenten Gesprächsteilnehmern oder zerdehnt als schriftlicher Kontakt zwischen räumlich und zeitlich voneinander entfernten Autoren und Lesern. Die Praxis des Erzählens kann unterschiedlichen Funktionen dienen: Man kann erzählend informieren, unterhalten oder belehren, moralisch unterweisen, geistlich stärken oder politisch indoktrinieren, Erzählgemeinschaften bilden, individuelle oder kollektive Identität en stiften usw. Pragmatische Aspekte des Erzählens stehen insbesondere bei der Untersuchung nicht-literarischer ›Wirklichkeitserzählung en‹ (Klein/Martínez 2010) im Vordergrund, also beim Erzählen in institutionellen, quasi-institutionellen und alltäglichen Situationen, etwa Gerichtserzählungen, Predigten, Krankheitsgeschichten beim Arzt oder Therapeuten, journalistischen Reportagen oder dem Klatsch unter Arbeitskollegen.
(b) Eine zweite Dimension der Erzählhandlung umfasst das, was mitgeteilt wird: den Erzählinhalt, nämlich bestimmte Figuren, Schauplätze und Ereignisse, die sich zu einer Geschichte zusammenfügen.
(c) Drittens schließlich ist das ›Wie‹ des Erzählens von Interesse, die Gestaltungsweise der Erzählung. Dazu gehören rhetorische und stilistische Mittel, aber auch die verschiedenen Gestaltungsmöglichkeiten der Erzählstimme, etwa der aus dem Text erschließbare ›Standort‹ des Erzähler s (der sich innerhalb innerhalb oder außerhalb seiner eigenen Geschichte befinden kann), das Verhältnis zwischen dem Zeitpunkt des Erzählens und dem Zeitpunkt der erzählten Handlung oder auch die Perspektive der Darstellung. Während die erste Dimension den pragmatischen Kontext des Erzählens umfasst, betreffen der Erzählinhalt (das ›Was‹) und die Erzählweise (das ›Wie‹) textinterne Aspekte.
At the time when the East appears as sunrise in Insayif's novel, when it appears as Arabic word, as text image in the German text, memories gain contour in the same way as words do. It is all about words and memories in the text, it is about (not) being able to speak, it is about losing language and memory, it is about writing, speaking and reciting within the realm of the in-between of languages and cultures. Emanating from the first-person narrator the text unfolds nuances and facets of life stories as textures of memories, as language- and sound tissues quasi. Referring to those poetic and rhetorical aspects of the text, I undertake a reading that is based on postcolonial and deconstructive approaches as well as on theories of memory. My reading tries to both react to the demands and specificities of Insayif's text in all of its various facets of betweenness as well as to fathom perspectives that might be significant for the 'Zeitenwende'.
Judith Butlers Konzept der Performativität, das sie in "Das Unbehagen der Geschlechter" (1990) und "Körper von Gewicht" (1993) entwickelt. beleuchtet den Prozess der Konstruktion der Geschlechtsidentität und zugleich deren Destabilisierung über Begriffe und Strategien wie 'Parodie', 'drag' oder 'cross-dressing', die auf eine wiederholende Imitation dieser Identität verweisen. Der performative Akt der Nachahmung wird von Butler als kulturelle Simulation gefasst. die die Vorstellung eines 'natürlichen' Originals allererst hervorbringt. Ähnlich und ebenso signifikant ist dieses Moment der Imitation als Simulation Homi Bhabhas Konzeption der kolonialen mimikry eingeschrieben. In seinem Aufsatz "Von Mimikry und Menschen" geht es darum aufzuzeigen. wie die verschiebende Wiederholung europäischer Normen durch die Kolonisierten – der Vorgang. den er als 'mimikry' bezeichnet – die imaginäre Identität der KolonisatorInnen destabilisiert und damit auch in gewissem Maße subvertiert.
Professionelle Fehlerkompetenz von Lehrkräften – Wissen über Schülerfehler und deren Ursachen
(2011)
Die Ergebnisse nationaler und internationaler Vergleichsstudien rücken das Thema Bildungsqualität in den letzten Jahren vermehrt in den Blickpunkt öffentlicher und wissenschaftlicher Diskussion und führen zu einer verstärkten Auseinandersetzung mit Bedingungen des Ge- bzw. Misslingens von Schülerlernen. Als bedeutsamer Einflussfaktor auf den Lernerfolg wird dabei die Lehrperson bzw. deren Kompetenz ausgemacht (vgl. bspw. Blömeke, Kaiser & Lehmann 2008; Lankes 2008; Schaper & Hochholdinger 2006; Zlatkin-Troitschanskaia, Beck, Sembill, Nickolaus & Mulder 2009). In der Folge dieser Diskussion werden deshalb nicht mehr nur Leistungs- und Kompetenzerwartungen als Standards für Lernende, sondern auch für Lehrende definiert (vgl. bspw. Terhart 2006). Die in diesem Zusammenhang aufgeworfenen Fragen sind allerdings nicht neu (vgl. z.B. Cochran-Smith 2001), stellt doch das Expertenparadigma bereits seit den 1980er Jahren eine der zentralen Leitlinien der empirischen Bildungsforschung dar. ...
Im Marktflecken Thannhausen bei Augsburg, der in einer adligen Enklave im markgräflich Burgauischen Mindeltal lag, existierte um 1600 eine für diese Zeit beachtlich große jüdische Landgemeinde, die mit ihren etwa dreißig Haushaltungen nach der Vertreibung der Juden aus Günzburg und Burgau 1617/18 die zahlenmäßig stärkste Gemeinde in Schwaben darstellte. An Chanukka des Jahres 5372, Anfang Dezember 1611 christlicher Zeitrechnung, kam dort ein Rechtsstreit zwischen der jüdischen Gemeinde zu Thannhausen und ihrem Schtadlan Kofman vor ein jüdisches Schiedsgericht. Es ging um die Entlohnung Kofmans für eine Mission, auf die ihn die Gemeinde im Frühsommer desselben Jahres nach Prag entsandt hatte, um bei der Ortsherrschaft ihre Interessen zu vertreten. Der Prozess, der zu den wenigen Schiedsgerichtsverfahren dieser Zeit gehört, deren Protokolle weitgehend erhalten sind, soll hier untersucht werden; dabei wird jedoch weniger das Verfahren oder der Gegenstand des Prozesses als solcher, die Auseinandersetzung um Kofmans Lohn, im Mittelpunkt stehen, als vielmehr der Konflikt um die Interpretation der Rolle des Schtadlan, des Fürsprechers der Gemeinde bei der Obrigkeit, durch die beiden Prozessparteien. Die Deutungen, wie sie in den Aussagen der Prozessbeteiligten artikuliert werden, weichen in erheblichem Maße von der in der Forschung vorherrschenden Darstellung des Amtes des Schtadlan in der Frühneuzeit ab – ebenso wie die Definition der Tätigkeit, die der bekannteste Fürsprecher des 16. Jahrhunderts, Josel von Rosheim, in seiner Korrespondenz und in seiner Chronik für sich verwandte. Aussagen der Beteiligten, Auftraggeber und Funktionsträger, sollen hier also auf die Frage nach Amt, Funktion und Titel des Schtadlan im 16. Jahrhundert im Lichte ihrer jeweiligen subjektiven Wahrnehmung der Vorgänge hin analysiert werden.
Seit einigen Jahren ist nicht nur eine Oszillationsbewegung zwischen Theoriekonjunktur und Theorieabgesang zu beobachten, sondern auch die stete Klage über Theoriemoden zu hören, die dazu führen, dass bestimmte Schlüsselbegriffe inflationär gebraucht – und damit gleichsam ver-braucht werden. Schlüsselbegriffe, die weniger für ein konzises Forschungsprogramm, sondern eher für ein Bündel von Herangehensweisen und Aufmerksamkeitsfokussierungen stehen: Zeichen, Diskurs, Differenz, System, Medium, Performanz, Körper, Materialität fungieren als "Travelling Concepts'', die den Prozess der Theoriebildung in Gang halten, dabei allerdings auch deutliche Verschleißspuren davontragen – so wie, um im Bild zu bleiben: der Reisekoffer. Freilich treten nicht nur Begriffe, sondern (Blumenberg lässt grüßen!) sehr häufig auch Metaphern die Reise auf den verschlungenen Wegen der Kulturforschung an. Diese Metaphern sind mehr als Vehikel, sie sind Motoren, genauer gesagt: Katalysatoren von Theoriebildungsprozessen, durch die sowohl Gegenstandsbereiche als auch Herangehensweisen (und damit verbunden: Fragestellungen) modelliert werden. Zwei dieser Metaphern möchte ich im folgenden Untersuchen: Hybridität und Aufpfropfung.
The conference paper interprets Spinoza's concept of “sola scriptura” as a reductio ad absurdum of historicalcritical approaches to text interpretation. It shows that despite Spinoza's emphasis on the revelatory function of scripture and despite his claim that there is only one method of reading it, he intently and distinctly undermines this very hermeneutics as unreliable and incompatible with both reason and truth. The text follows the central intuition that for Spinoza, this insuffiency of hermeneutics accounts for its political potential, as a means of uncoupling politics and theology.
This article investigates the phenomenon of increasing integration of customers and users into the organizational creation of value, focusing primarily on the dissolving boundaries between production and consumption. Concepts such as "prosuming", the "working customer", "produsing" and "interactive value creation" have been used to describe this phenomenon. Within the framework of a research project at the Goethe-University Frankfurt/Main, this debate was investigated theoretically as well as empirically in three case studies. The research question is as follows: Why do customers participate in "new types of prosuming" or "interactive value creation" and how are these processes coordinated by the firms? The results show a considerable range of motives and forms of coordination: The customers’ primary motives to voluntarily assume tasks and activities were both intrinsic and extrinsic in nature. The organizational models identified range from strategies of rationalization to prosuming as a basic business model to the collaborative and interactive value creation between the company and the web-community.
Versetzen, Einfügen, Einwachsen – das sind die Umschreibungen der Aufpfropfung als einer Agrartechnik, mit der seit der Antike […] Pflanzen veredelt werden. Veredeln heißt dabei zum einen: Kultivieren, impliziert also eine qualitative Steigerung durch einen technischen Eingriff; zum anderen bedeutet Veredeln aber auch Konservieren: durch ein Verfahren der nicht-sexuellen, künstlichen Fortpflanzung Kopien herstellen und so das Veredelte in Kopie bewahren. Die Reproduktion fungiert mithin als eine Art ›Massenspeicher‹ des bereits Kultivierten. […] Im Folgenden möchte ich […] der Frage nachgehen, inwiefern sich Kultur als Pfropfung und Pfropfung als Kulturmodell begreifen lässt: In welcher Weise und in welchem Zusammenhang wurde und wird die Aufpfropfung als Metapher für kulturelle Prozesse, Praktiken und Produkte in Dienst genommen? Wie setzt sich der Begriff des Pfropfens gegen den momentan fast inflationär gebrauchten Begriff des Hybridisierens ab? Welchen intellektuellen Mehrwert bringt der Rekurs auf den Pfropfungsbegriff für poetologische, philosophische, interkulturelle, aber auch wissenschaftsgeschichtliche Fragestellungen? Anders gewendet: Was trägt das Aufpfropfungsmodell zum Verständnis von Kultur als Kulturprozess bei?