BDSL-Klassifikation: 17.00.00 20. Jahrhundert (1914-1945) > 17.18.00 Zu einzelnen Autoren
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Jednou z hlavních úloh poezie je zprostředkování emocí. Ĉlánek poukazuje na jazykové prostředky, kterými jsou vyjádřeny emoce v básních Güntera Grasse a Bertolda Brechta. Textově lingvistická analýza je zaměřena především na slovotvorné konstrukce a jejich podíl na konstituci textu a kódování emocí.
In der Literatur hat sich die Bestimmung der Erzählperspektive längst etabliert, aber genauso manifestiert sich auch in den visuellen Medien ein Erzähler, der das Geschehen zwar weniger mittels der Sprache, dafür im Wesentlichen über Bilder präsentiert. Durch die jeweils darin enthaltene Darstellung und die Verknüpfung der einzelnen Bilder sind diese Ausdruck einer bewussten Formung der Handlung. Der Begriff des Erzählens beschränkt sich somit nicht nur auf die Literatur, sondern trifft auch auf Visualisierungen jeglicher Art zu, da in diesen Fällen ebenso eine Instanz identifiziert werden kann, die hinter der Auswahl der Handlungselemente steht und diese perspektivisch formt. Dennoch kann der Erzähler hier nicht mehr, wie in der Literatur, im Sinne eines "Sprechers" aufgefasst werden, sondern versteht sich eher als abstraktes Konzept. Insbesondere in intermedialer Hinsicht stellt die Übertragung der Erzählperspektive von einem literarischen Text auf ein visuelles Medium eine Herausforderung dar, denn aufgrund des Medienwechsels verändern sich die Bedingungen des Erzählens. Umso schwieriger ist die Übertragung, wenn der literarische Text keinen durchweg logischen Handlungsverlauf aufweist, sondern Widersprüche und Uneindeutigkeiten im Erzählvorgang und in der Erzählperspektive beinhaltet, wie es auf Franz Kafkas 1914 entstandene Erzählung "In der Strafkolonie" zutrifft. Dieser Text dient zudem, wie auch viele andere von Kafkas Werken, als Projektionsfläche diverser, nicht selten konträrer, Deutungsansätze, die sich in der Forschungsliteratur herausgebildet haben. So wurden zahlreiche religiöse Bezüge in der Erzählung entdeckt, genauso wurde der Text aber als realistisch und somit als Kritik an Kolonialismus und Krieg verstanden. Bezug nehmend auf Kafkas Biographie und das Thema Strafe, das in zahlreichen seiner Werke zum Ausdruck kommt, wurde die Erzählung oftmals in psychoanalytischer Hinsicht gedeutet. Andererseits wurde die beschriebene Handlung auch weniger ernst genommen und vor allem auf die grotesken und ironischen Elemente verwiesen. Im Hinblick auf die unterschiedlichen Interpretationsansätze sind auch die Möglichkeiten der visuellen Umsetzung entsprechend vielfältig.
In dieser Arbeit wird anhand von drei Kurzfilmen und einem Comic, unter Berücksichtigung der spezifischen medialen Bedingungen, die Übertragung der Erzählung ins Visuelle analysiert. Dabei soll gezeigt werden, inwiefern die jeweilige Erzählperspektive die visuelle Wahrnehmung in den Filmen und im Comic bestimmt. In diesem Zusammenhang wird auch zu sehen sein, welche Deutung der Erzählung sich in der Visualisierung manifestiert und durch den Erzähler besonders hervorgehoben wird. Nicht zuletzt stellt sich dabei auch die Frage nach der Art der Umsetzung, d.h. ob bei der Adaption die Textnähe und der Inhalt im Vordergrund stehen oder ob vielmehr die Intention verfolgt wird, mit der Visualisierung der Erzählung ein neues und eigenes künstlerisches Werk zu schaffen, das dem Originaltext auf einer tiefergehenden Ebene begegnet.
Quanto narrato da Franz Kafka nella Colonia penale (In der Strafkolonie, 1914) è forse troppo noto per raccontarne la trama. Mi limito a ricordare l'essenziale di questo racconto, che è uno die pochi pubblicati dall'autore in vita. Un viaggiatore approda, nel corso di una sua esplorazione, in una terra di nessuno, tra il noto e l'ignoto, tra il familiare e il perturbante. Si tratta di un’isola tropicale che è sede di una colonia penale. I Tropici di Kafka non presentano nulla di esotico; sono piuttosto il luogo della extraterritorialità par excellence, di una "civiltà" arcaica amministrata da una legge brutale, disumana e palesemente ingiusta. Lo strumento di questa "barbarie" è una macchina omicida, che prima era in auge, ma che ormai – essendo stata messa al bando dal nuovo comandante della colonia – ha assunto le sembianze di un relitto del passato. Rispetto a questo vecchio macchinario, che associa al dolore fisico l'ordine sociale, si sta infatti ormai affermando un nuovo paradigma, simbolo di un sistema più moderato. Il funzionamento dell'apparecchio in dismissione, posto in un insolito campo di sperimentazione, viene illustrato all'esploratore da parte di uno zelante oratore. È un ufficiale, orgoglioso e fedele custode "nei tempi nuovi" del macchinario di ieri, ma soprattutto convinto avvocato difensore della tecnica come barbarie.
L'intera riflessione filosofica di Günther Stern/Anders si snoda intorno al motivo della indeterminatezza costitutiva dell'essere umano che non riesce mai a cogliere la propria essenza in un nucleo definito e stabile, ma soltanto nell'accettazione della propria irriducibile contingenza. È questo il cuore di quell'antropologia negativa che Anders aveva già abbozzato nell'ambito di una conferenza tenuta nel 1929 presso la "Kantgelleschaft" di Francoforte e dal titolo "Die Weltfremdheit des Menschen" (fino a poco tempo fa disponibile solo nella versione francese, da cui è stata mutuata la versione italiana: La natura dell’esistenza e Patologia della libertà). Questo scritto giovanile - che nella intenzione originaria doveva essere solo il primo
passo di un sistema di antropologia filosofica - abbozza in sorprendente anticipo rispetto ai tempi e in maniera del tutto autonoma motivi che diventeranno correnti dopo le riflessioni antropologiche di Plessner e di Gehlen. Al centro dell'argomentazione andersiana sono infatti i temi dello "sradicamento", della "contingenza" e della "vergogna (Scham)" costitutiva all'essere umano che non può mai padroneggiare la propria origine.
Il pensiero di Günther Stern/Anders (1902-1992) non è mai stato al centro del dibattito filosofico e questo nonostante le sue teorie si siano spesso rivelate tragicamente attuali. C'è da dire che lo stesso Anders ha fatto di tutto per collocarsi in una posizione eccentrica, rifiutando con sdegno e indignazione i compromessi della carriera accademica, prendendo le distanze da alcuni autori che pure rientrano nel suo stesso orizzonte teoretico (Adorno, Arendt, Bloch e Lukács, ad esempio), ma soprattutto sostenendo alcune posizioni estreme e radicali, provocatorie e intransigenti. Un filosofo della esagerazione, potrebbe essere definito, un pensatore che ha programmaticamente eletto il concetto della Übertreibungskunst a sigla del suo metodo speculativo. Era infatti sua ferma convinzione che occorresse deformare per constatare (o anche contestare), per scuotere l'indifferenza di una società dominata e schiacciata dalla tecnica. In un mondo completamente sordo – spiega Anders – si fa necessario urlare le proprie considerazioni affinché arrive all'orecchio di qualcuno almeno una loro flebile eco. Una strategia della esagerazione che ha sortito come effetto quello di fare di lui una "Cassandra della filosofia", un "creatore di panico" o, nel migliore di casi, un pensatore scomodo, che conveniva tenere da parte, confinandolo nella periferie, o magari saccheggiare di nascosto, piuttosto che citare esplicitamente. La delusione per l'ostinata sordità del mondo nei confronti dei suoi ripetuti e disperati appelli ha segnato le sue ultime riflessioni, declinandole in toni aggressivi. Intollerante nei confronti di qualunque compromesso ipocrita, la "filosofia della disperazione" andersiana si è arroccata su toni sempre più aspri e ostinati, intransigenti fino al punto di legittimare persino la violenza con la necessità dell'autodifesa. Non stupisce il fatto che, alla fine della sua esistenza, al suo seguito non ci fosse che uno sparuto gruppo di fans, estimatori che Anders non ha mancato di scoraggiare e deludere, con l'assunzione di posizioni sempre più radicali.
Un titolo quale "Dialettica negativa e antropologia negativa" sembrerebbe preannunciare un lavoro di confronto tra Th. W. Adorno e Ulrich Sonnemann, sulla scia di una indicazione mutuata dalla "Introduzione" di "Dialettica negativa" (1966). E invece, disattendendo una simile aspettativa, la "Negative Anthropologie" cui ci si riferisce in questo saggio è quella di Günther Stern/Anders. L’idea di un confronto tra le due prospettive nasce dalla curiosità di capire la corrispondenza tra la "dialettica negativa" e l'"antropologia negativa", laddove con il secondo sintagma si intende la concezione andersiana di un'umanità inadeguata al mondo. Che poi non si tratti di una stranezza ma di un interrogativo legittimo lo conferma, indirettamente, lo stesso Adorno, che in una nota contenuta nella sezione della "Dialettica negativa" dedicata alla lettura del pensiero di Heidegger, chiama in causa proprio la lezione di Anders.
Quando, nel 1979, dopo quasi un quarto di secolo di silenzio, Günther Anders decide di raccogliere nel seeondo volume di "Die Antiquiertheit des Menschen", alcuni tra i suoi scritti più significativi, si accorge che la sua intera produzione filosofica non è stata altro che una continua variazione su uno stesso tema. La questione teorica che da sempre ha impegnato la sua ricerca è il configurarsi del rapporto tra uomo e mondo. Un motivo di evidente attualità antropologica, como lo stesso Anders sottolinea già nell'incipit della sua Introduzione: "Questo secondo volume di 'L'uomo è antiquato' e [...] un'antropologia filosofica nell'èra della tecnocrazia". E tuttavia alla tematica più strettamente antropologica vengono esplicitamente dedicate solo alcune pagine del volume, note densissime alle quali Anders affida la sua esplicita tematizzazione di un'antropologia negativa. In realtà, come lo stesso autore confessa in questa sede, i motivi salienti della "Negative Anthropologie" affondano le radici in un terreno fertile e battuto già cinquanta anni addietro, ovvero nella sua concezione giovanile di un'"antropologia filosofica dell'estraniazione".
The parallel between the novels "Berlin Alexanderplatz" and "Grande Sertão: Veredas" was first drawn within the Brazilian literary criticism in a comment made by Davi Arrigucci Jr. With the intent of pursuing the discussion raised by the author, this article proposes a more detailed analysis of the elements which define both texts as representative works of the modern novel discourse. The analysis focuses on the movements which characterize the trajectories taken by the protagonists Franz Biberkopf and Riobaldo, with a view on the characters' transit in space, as well as emotionally, and also in regard to the transit that operates the narration within both novels. In this light, the article outlines the particularities which situate both novels within the tradition that associates them with the books "Wilhelm Meisters Lehrjahre" and "L’Éducation Sentimentale".
Ziel dieses Beitrags ist, anhand der Interpretation der Schrift "Das Ich über der Natur" (1927) ein kleines Bild des Naturphilosophen Alfred Döblin zu skizzieren. Es geht um eine Facette des berühmten Autors des Romans "Berlin Alexanderplatz", die auch in Deutschland bis jetzt sehr wenig Aufmerksamkeit erfuhr und daher immer von seinen fiktionalen Werken überschattet blieb. Nach dem Ersten Weltkrieg begann die Phase von Döblins intensivem Philosophieren über die Natur. Bestimmte Fragen, wie etwa die Frage nach der Rolle des Menschen in der Natur und die Frage nach einem gerechten Handeln stehen im Zentrum seiner naturphilosophischen Abhandlungen der zwanziger Jahre. Die Schrift "Das Ich über der Natur", die 1927 im Fischer-Verlag veröffentlicht wurde, ist eben die erste ausgearbeitete Abhandlung der Döblinschen naturphilosophischen Spekulationen. Darin versucht Döblin einige Begriffe wie "Ur-Ich" und "Ur-Sinn" als höchste Naturinstanz zu erörtern.
A fortuna crítica sobre Franz Kafka é pródiga em relacionar o modo de o escritor construir sua narrativa e algo dos próprios temas com a produção kleistiana. Como uma forma de refletir sobre isso, atentarei para dois críticos que expuseram aspectos desta relação em solo brasileiro: Otto Maria Carpeaux e Luiz Costa Lima. Distados várias décadas, os dois parecem, contudo, possuir certas linhas de confluência na abordagem kleistiana da obra de Franz Kafka. Após expor aspectos da relação Kleist-Kafka nos recortes da crítica brasileira, buscarei referências a Kleist em textos não literários de Kafka com a finalidade de encontrar neles um fundamento para o que é afirmado pelos críticos tratados neste ensaio.
Este artigo sobre as relações ambivalentes entre Musil e Freud procede em três etapas. Na primeira, analisamos as intuições psicanalíticas de Musil no seu primeiro romance, "O jovem Törless". Os 'insights' psicológicos do romancista acompanham e antecipam as descobertas clínicas do pai da Psicanálise. A segunda se debruça sobre os trabalhos seminais (Corino, Henninger, entre outros) que veem as reservas de Musil diante de Freud como resistências sintomáticas e evidenciam a determinação inconsciente de sua obra. A terceira expõe outras razões (estéticas e teóricas) para a reserva do artista. Estas não excluem, mas se adicionam às resistências sintomáticas. Musil dispõe de um referencial científico e matemático, filosófico e estético diferente da Psicanálise; ele se manifesta no projeto sui generis das novelas "Uniões" (a segunda obra de Musil após o "Törless").
A relação pai-filho é uma das pedras angulares da pesquisa psicanalítica. Este artigo examina tal relação, assim como se apresenta no romance "Zipper und sein Vater" (1928, "Zipper e seu pai"), de Joseph Roth, em um contexto histórico e psicossocial relevante. Traçando um paralelo entre a figural paternal do Imperador Austro-Húngaro, Franz Joseph, e o pai de Arnold Zipper, e valendo-se da experiência pessoal do narrador (e do próprio Roth), o artigo apresenta uma análise da importância da figura e as consequências devastadoras de sua ausência.
O presente artigo objetiva reavaliar a questão intermedial do expressionismo referente à "Da aurora à meia-noite", obra destacada de Georg Kaiser. O texto, escrito entre 1912 e 1915, e publicado em 1916, foi encenado em inúmeros teatros a partir de 1917. Em 1920, o diretor Karl Heinz Martin realizou sua transposição para o medium fílmico. A primeira parte do presente estudo analisa a forma textual de "Da aurora à meia-noite" entre tradição teatral e possíveis adaptações de técnicas cinematográficas. A seguir, investiga-se o aspecto visual de sua encenação no âmbito da nova visualidade expressionista no teatro, enquanto que a terceira parte se ocupa do filme "Da aurora à meia-noite" no contexto da permanente discussão sobre o chamado cinema expressionista
Musil uses the word 'Dichter', 'poet', as a dignified title reserved for artists of great achievement (different from 'Schriftsteller', 'writer'). His use of the word emphasizes the importance of the specifically poetic qualities of literature (and of the poetic sensibility of criticism,) not as an idle objection to the contemporary merging of literary works with either pure sensation and feeling, or with other forms of discourse. Focusing on "Törless", as well as on Musil's notebooks and essays, this article shows how Musil understands the relationship between rational thinking and the latent ideas and thoughts that emerge within the poetic dimension (the 'other state of mind' or 'other condition.') This approach illuminates Musil's conception of "precision and soul" - the interlocking of sensitive perceptiveness and intellectual rigor - as a necessary pre-condition for valuable literature and valuable life.
Mais do que um princípio formal, a noção de ensaísmo de Robert Musil adquire o duplo estatuto de uma "utopia" e de uma atitude diante da realidade. É esse duplo viés que permitirá à arte preservar-se como potência crítica e epistemológica num contexto de crise cultural e de valores na Europa no início do XX. Este artigo aborda a noção de ensaísmo de Musil a partir de seus textos críticos e de seu romance "O homem sem qualidades", demonstrando como as idéias expostas no registro estritamente "ensaístico" se configuram no âmbito da representação poética, consumando assim a "utopia" pretendida pelo autor, de fundar novas relações entre as esferas da razão e do sentimento, da ciência e da arte, da objetividade e da subjetividade.
In seinem umstrittenen Erstlingswerk, "In Stahlgewittern" (1920), schreibt Ernst Jünger dem Ersten Weltkrieg weniger explizit einen ideologischen Sinn zu, als er ihn indirekt durch eine intensiv metaphorische Sprache mit Bedeutungen auflädt. Jünger codiert den Krieg in 32 bildlichen Sequenzen, die sich in den Feldern der Natur, der menschlichen Praxis, der Kultur und der Anthropomorphie verorten. Diese Sprachbilder lassen sich nach Typen differenzieren und in ihrer Dichte, Relation, Interferenz und Variation beschreiben. Dadurch dass dieselben Bilder auf beide Kriegsparteien angewandt werden, relativieren sie deren Gegensatz. Indem die Metaphern mit ihren realen Entsprechungen, mit sprechenden Namen und mit stereotypen Jargons konfrontiert werden, tritt ihre Künstlichkeit zutage und wird ihre epistemische Funktion deutlich. Die implizite Bedeutungs-Zuschreibung, die diese Metaphoriken erzielen, ist keineswegs einsinnig als Ästhetisierung oder Verherrlichung bzw. als kohärente faschistische Ideologie zu fassen. Die einzelnen Codes sind ungleichmäßig subtil, sie erzeugen verschiedene Bedeutungen, und sie konnotieren abweichende politische Positionen; sie geraten miteinander in Überschneidung und zueinander in Widerspruch. Es entsteht eine widerständige Semantik, die als Symptom einer Verunsicherung lesbar ist.
O estilo em Alfred Döblin
(2010)
O objetivo do presente artigo é apresentar alguns aspectos teóricos postulados pelo escritor alemão Alfred Döblin em seus ensaios ao desenvolver sua própria concepção da obra épica na "era da técnica" à luz de questões estilísticas, propondo conceitos como "estilo cinematográfico", "despersonalização", "fantasia factual" e "fantasia cinética". Para uma delimitação conceitual em relação à noção de "estilo", serão tomadas por base as considerações de Antoine Compagnon, postuladas na obra "O demônio da teoria" (1999), bem como as reflexões de Walter Benjamin, presents na resenha "A crise do romance" (1930) e no ensaio "O narrador" (1936).