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Der Verfasser berichtet über zoologische Erträge einer Reise nach Ägypten, Palästina und an die Küste der asiatischen Türkei. Ein Register erschließt die im Text genannten Tierarten, wobei die Insekten den größten Anteil haben.
Una notte del 1749 la giovane ebrea romana Anna del Monte, diciottenne membro di un’importante famiglia del ghetto, fu prelevata in casa dagli sbirri e condotta alla Pia Casa dei Catecumeni – un’istituzione fondata nel 1542/43 per ospitare coloro che intendevano convertirsi al cattolicesimo. Nel caso di Anna, si voleva sondare la sua volontà di convertirsi e indurla a compiere tale passo. Questo rapimento era una misura legale – come è noto anche dai lavori di Marina Caffiero –che poteva colpire qualunque ebreo fosse accusato di aver manifestato il desiderio o l’intenzione di convertirsi al cattolicesimo – ma anche colui o colei che un convertito avesse »offerto« alla fede cristiana, qualora il neofito potesse rivendicare su di lui/lei la patria potestas, interpretata in senso lato. Era stato un sedicente promesso sposo – il neofito Sabato Coen – ad offrire alla fede Anna del Monte, probabilmente con la speranza di stipulare un matrimonio vantaggioso al quale egli avrebbe potuto difficilmente ambire, considerando le sue umili origini. Anna fu trattenuta ai Catecumeni per 13 giorni, dei quali tenne il novero mettendo da parte una delle due uova che le venivano portate quotidianamente su sua richiesta. Durante l’internamento resistette ai tentativi conversionistici, alle lusinghe e alle minacce di ecclesiastici e neofiti e finanche al maldestro tentativo di battesimo di un predicatore, che cercò di perfezionare il rito gettandole addosso dell’acqua – tentativo al quale la giovane reagì dichiarando di non voler aver nulla a che fare con le sue "superstizioni" e di subire il gesto come "se le avesse urinato addosso un cane". Salda nel rifiuto del battesimo, Anna fu infine restituita al ghetto. ...
Vengono descritti 2 nuovi sottogeneri di Agrilus: Lilliput (specie tipo: A. paracuspidatus Obenberger, 1939) e Agriphylus (specie tipo: A. maddalenae n. sp.). Vengono inoltre descritte 34 nuove specie e 4 nuove sottospecie di Agrilus (sensu lato) provenienti da diverse regioni del continente africano e dall' Arabia Saudita: A. (Paralophotus) sahelicus n. sp. del Marocco; A. (Diplolophotus) rastellii n. sp., A. (Paralophotus) rubescens n. sp., A. (Paralophotus) vo- 101 n. sp. del Senegal; A. (Lilliput) minimus n. sp., A. (Diplolopbotus) somalus n. sp., A. (Paralopbotus) myops n. sp. della Somalia; A. (Robertius) ocellatus n. sp. del Kenya; A. (Duftus) exoletus ugandensis n.ssp. dell'Uganda; A. (Pinarius) muehlei n. sp., A. (Robertius) provincialis n. sp., A. (Robertius) syndici n. sp., A. (Agrilus) wagneri n.sp. del Ruanda; A. (Pantberina) teocchii n. sp., A. (Robertius) delenilor celtivorus n. ssp., A. (Robertius) regius n. sp., A. (Roher/ius) ocularius n. sp., A. (Robertius) boanoi n. sp., A. (Robertius) mabokeamls n. sp.,A. Vlgrilus) parapupala n. sp.) A. (Agrilus) pupalinus n. sp., A. (Agrilus) hal'l7lodius centrafricanu.' n. ssp. della Repubblica Centrafricana; A. (Nigritius) leveyi n. sp., A. (Agrilus) 01- mii tropicus n. ssp. dello Zambia; A. (Agriphylus) maddalenac n. sp., Il. (Robertius) iniudicatus n. sp. della Sierra Leone; A. (Robertius) scutatus n. sp., Il. (Rohertius) rotundus n. sp. della Costa d'Avorio; A. (Robcrtius) zehra/us n. sp., Il. (Rohertius) subgravidus n. sp., A. (Agrilus) balena n. sp. del Camerun; Il. (Agripbylus) trico n. sp., A. (Pantherina) barbutulus n. sp., A. (Agrilus) salurnus 11. sp. dello Zaire; A. (Agrilus) olmii n. sp. del Mozambico; A. (Lilliput) lorscbbammcri n. sp. del Botswana e del Sud Africa.; A. (Robertius) bruschii n. sp. dei Sud Africa, Botswana e del Mozambico; A. (Bubagrilus) saudita n. sp. dell'Arabia Saudita. Sulla base dell\'esame del materiale tipico viene proposta infine una nuova sinonimia: A. schoutedeni Kerremans, 1913 (= A. rothkircbi Obenberger, 1923), nov. syn.
Nei sedimenti neritiei del Cretacico superiore dell'Appennino sono presenli dei miliolidi planispirali, involuti, spesso provvisti di stadio svolto. con apertura cribrata ed endoscheletro costituito, nelle logge adulte, da strato basale e da lame. Questi caratteri sono quelli che fino ad ora caratterizzavano il genere Raadshoovenia VAN DEN BOLD. Allo scopo di accertare fino a che punto le forme da me riscontrate differissero da quelle' guatemalteche ho esaminato alcuni esemplari di Raadshoovenia guatemalensis raccolti da VAN DEN BOLD. In essi ho potuto riscontrare dci caratteri interni più complessi di quelli che figurano nella diagnosi generica; questi sono costituiti, nelle logge adulte, oltre che da lame anche da strato basale e da pilastri che, lateralmente, si saldano tra loro e con le lame determinando camerette centrali e marginali. Si è reso perciò opportuno l'emendamento del genere Raadshoovenia e della sua specie tipo R. guatemalellsis. In base alla diagnosi emendata risultano sinonimi del genere di VAN DEN BOLD Cuvillierinella (PAPETTI e TEDESCHI, 1965) e Murciella (FOURCADE, 1966). Le forme da me rinvenute nell'Appennino e che soddisfano alla vecchia diagnosi di Raaclshoovenia sono state attribuite a Scandonea n. gen. la cui specie tipo è Scandonea samnitica n. sp. Si è proposta, inoltre, una diagnosi più comprensiva per ]a famiglia Alveolinidae al fine di poter inserire in essa il genere di VAN DEN BOLD. In questo lavoro ho accennato, in un apposito paragrafo, alla nomenclatura adottata. In particolare, le misure di altezza sono espresse da segmenti perpendicolari all'asse di avvolgimento o all'andamento della spira; per questo motivo altezza del guseio o dei giri sono sinonimi di diametro del guscio e diametro dei giri. Le misure di larghezza sono espresse da segmenti paralleli all'asse di avvolgimento; quelle di lunghezza vengono eseguite parallelamente all'andamento della spira.
In order to celebrate the seventieth anniversary of Benjamin's death, the conference "Dialectic images and sudden constellations: Warburg, Benjamin, Adorno" was held in Florence. The idea, common to the three authors, of a truth content that can only be realised in its concrete and istantaneous configuration, was embodied here in the form of a "philosophical concert", where contributions by philosophers, philologists and historians of arts and architecture succeeded each other.
The paper proposes a new understanding of the notion of “aura” as it emerges, including similarities and differences, in the aesthetic thought of Walter Benjamin and Theodor W. Adorno. In particular, the paper shows how, not only in Adorno but already in Benjamin, such a concept designates also the capacity of artwork to refers, by its own internal, to an irreducible otherness. In this perspective, in a world increasingly dominated by a tendency to homologation and mercification – with the resulting identification of art and cultural industry –, contemporary art looks like a continuous oscillation between the will to deny aura and, other times, the awareness of its necessary survival, closely related (in particular, according to Adorno) to the recognition of the need to “save” not only the appearance but also, by that very fact, the aesthetic autonomy.
Il saggio approfondisce l’opera di due artisti fondamentali degli ultimi decenni, ovvero Antoni Tàpies e Bill Viola. La loro produzione artistica riesce a sfuggire alla condanna che Th. W. Adorno fa di tutti quei movimenti che rimettono in questione il concetto di arte e la nozione di opera. Questi due artisti salvano lo statuto dell’arte nella società post-industriale, vale a dire in un momento in cui le trasformazioni profonde del sistema culturale rischiano di minacciare la sopravvivenza della creazione artistica, come se la razionalità estetica non potesse che abdicare davanti alla razionalità strumentale. Sono pochi i pittori che come Antoni Tàpies riescono a infondere alla materia inanimata un’irradiazione e una capacità di evocazione tanto intense, mentre per Bill Viola tutte le opere d’arte rappresentano cose invisibili e la stessa tecnologia digitale non è altro che una forma più pura per avvicinarsi a quelle realtà non fisiche e non visibili che stanno sotto alle cose visibili del mondo. La scommessa di Tàpies e Viola riguarda la sopravvivenza dell’arte nell’universo mercantile di una società sempre più amministrata e sottoposta agli imperativi economici; la loro produzione pare mirata a renderci consapevoli della nostra mortalità, offrendo immagini in grado di mettere in connessione la dimensione sensibile e quella spirituale, il visibile e l’invisibile, aprendo lo spazio a una trascendenza che sembrava completamente svanita.
Starting from Warburg, the distinguishing mark of an image, considered as identity-difference of visible and invisible, is its offering itself as an implementation of a temporality, and at the same time of a memory that is immanent in the sensible structure of the image. It’s what we find both in Benjamin and in Adorno: in both cases, it is just because the image is marked by a “internal time” that it is able to have a critical function towards reality, and at the same time an utopian character that is all the same with its non-renounceable testimonial task.
L’autore ricostruisce l’impatto del saggio di Max Weber sulla città nella storiografia tedesca a partire dalla fine degli anni Ottanta. Esso indica altresì il significato politico della "scoperta" weberiana della città come nucleo genetico della politica occidentale, con il suo universalismo che Weber data addirittura all’incontro tra gli apostoli Pietro e Paolo ad Antiochia. La "città" è per Weber la sede della possibilità teorica e fattuale di creare un diritto autonomo e nuovo. Essa è certamente il luogo di origine della predominanza politica della borghesia, ma nel paradigma weberiano basato sulla razionalizzazione come processo tipico della cultura occidentale, essa indica un percorso che prosegue ancora oggi nell’epoca delle migrazioni e della globalizzazione.
Nonostante una carrieraaccademica costruita e fondata nellaScienza del diritto, "in quanto giurista" Max Weber viene pochissi-mo preso in considerazione, in particolare proprio daparte della ri-cerca tedesca. Si cercheràqui di mostrare, partendodalla sua Dis-sertazione in Storia del diritto, l’impronta ricevutada Weber dal-l’ultima fase della Scuola storica e il significato che ciòebbe per il suosuccessivo lavoro come sociologo del diritto ma anche per il tipoparticolare della sua costruzione concettuale sociologica. ...
Nell’ambito di questo seminario, il mio compito, come da titolo, non consisterà in un’esposizione del progetto, ma in una riflessione sul medesimo, condotta dall’esterno e in linea con gli interessi della ricerca tedesca. Quanto dirò dovrà dimostrare che proprio una riflessione di questo tipo può condurci nei pressi di questioni ero ciali e spesso non sollevate consapevolmente -, le quali concernono intrecci di relazioni scientifiche, afferiscono, di conseguenza, anche al progetto e possono evidenziarne il significato per la storia della scienza tedesca. ...
Der Dichter Paul Celan übersetzte aus sieben Sprachen ins Deutsche, weigerte sich aber zeit seines Lebens seine eigenen Gedichte zu übertragen. Zu der Frage, ob seine Lyrik überhaupt übersetzbar sei, hat er sich zudem meistens sehr skeptisch geäußert. Doch für seine Frau, die französische Künstlerin Gisèle Celan-Lestrange, verfasste er Vokabellisten und Interlinearübersetzungen zu einigen seiner Gedichte. Anhand des Briefwechsels, den die Partner fast 20 Jahre lang führten, soll die Bedeutung des Sprachwechsels im Leben und Werk Celans thematisiert werden. Denn der Wechsel zwischen dem Französischen der Briefe und dem Deutschen der Gedichte, zwischen der Sprache des Exils und der Muttersprache spiegelt zweifellos die Frage nach der individuellen und künstlerischen Identität wider. Die im Briefwechsel enthaltenen französischen Fassungen der Gedichte stellen daher einen absoluten Einzelfall dar. Der Dichter verstand diese Texte nicht als Übertragungen im vollen Sinn des Wortes, trotzdem gewähren sie dem Interpreten einen einzigartigen Einblick in die Werkstatt des Dichters. Die vergleichende Analyse der deutschen und französischen Fassung der Einzeltexte zeigt, wie die Tätigkeit des Dichters und die des Übersetzers Paul Celans zueinander beisteuerten.
In Paris, metropolis of xix century, Benjamin traces the new paradigm of modernity: the modern theatrical dimension corresponds to the artistic innovations and to the reproduction of aesthetical requests. Entfremdung and Neutralisierung are the main characters of the Ästhetisierung and they are one with the distraction as principle of reception and the conformism as principle of valuation. This is the context of the aura’s decline. The Adorno’s critical essay on the radio (1963) analyses the transformation of works of art in cultural gifts and, in particular, the loss of autonomy of the musical work of art in the radio listening. The Adorno’s remarks recognize the historical character of aura and a new possibility that it can re-emerge in a new historical dimension of the music.
Scavi di Avigliana
(1875)
Critical Theory offers a new way to understand not only the society, but also the individual. In particular, I will focus on the thought of Adorno and his conception of society.
First, I want to investigate the Adornian description of society in its totalitarian face and in its paradoxical relationship with the individual. The individual, first element of society, without which any society cannot be imaged, paradoxically finds – in the society – its liquidation and destruction.
Secondly, I want to consider the Adornian revolutionary statement in a conversation with Horkheimer of a need of a “New Manifesto”. Do we need it even today? Would be really possible a new Marxian society in our world? The attempt to answer to those questions will conclude my paper.
Il saggio propone una ricostruzione critica della concezione di impegno e di politicità della letteratura formulate da Brecht e da Adorno. Concezioni opposte che possono essere considerate le formulazioni più efficaci delle due posizioni predominanti nel dibattito estetico del Novecento.
Adorno fonda la politicità della letteratura sulla sua autonomia e sulla liberazione della forma. La politicità dell’arte scaturisce per lui dal rifiuto della discorsività, dalla aggressiva sottrazione del senso, dalla esposizione del negativo. La sua è una concezione dell’impegno elitaria che subordina il discorso artistico a quello filosofico. Brecht fonda la possibilità politiche della letteratura sulla consapevolezza della medialità dell’esperienza. Può essere rivoluzionario solo l’autore che ha riflettuto sulle mediali condizioni della propria produzione e produce opere che non sono espressione di una soggettività ma lavoro alla trasformazione e al cambiamento di funzione dei dispositivi mediali e delle istituzioni in cui agisce.
The paper proposes a comprehensive analysis of the paragraph which Biton, in his work known under the title Construction of Machines of War and Catapults, dedicates to the explanation of the so called σαμβύκη, a kind of scaling ladder on wheels designed by Damios of Kolophon. On the basis of both mechanical and textual considerations the κοχλίας, whose revolving movement produces the oscillation of the ladder, should be interpreted as a cylindrical horizontal roller (like Marsden suggests) and not as a vertical screw (like Lendle thinks). Accordingly, the supporting structure of the machine should be understood much less massive than what has been thought by scholars after Marsden.
È noto che i Poliorketika di Enea Tattico costituiscono un affresco straordinario sulla vita di una piccola comunità greca della metà del IV sec. a.C. sotto la minaccia di un assedio. Gran parte degli sforzi dell’autore è rivolta ad istruire i cittadini su come prepararsi a sostenere un blocco imposto dal nemico: tramite un’attenta regolamentazione delle attività quotidiane si mira a mantenere unita la comunità, nella convinzione che i pericoli maggiori possano giungere dall’interno. Soltanto nei paragrafi conclusivi di ciò che rimane dei Poliorketika (i quali, si ricordi, sono mutili del finale), e precisamente a partire dal capitolo 32, si inaugura "l’unica sezione unitaria sicuramente individuabile", come riconosciuto dalla critica, dedicata stavolta alle contromisure da adottare in previsione di attacchi portati direttamente contro le mura con l’ausilio di mezzi d’assalto, scale e operazioni di scavo. ...
Una recente edizione dei Poliorketika di Apollodoro di Damasco ha riproposto alla comunità scientifica quest’opera poco conosciuta, rendendo disponibile un testo che, data la sua natura puramente tecnica, rientra nel novero delle poche testimonianze greco-latine in cui vengono descritti nel dettaglio alcuni congegni ossidionali e riveste pertanto una notevole rilevanza per la nostra conoscenza della poliorcetica antica. ...
Se il legislatore volesse incriminare nuove condotte o aggravare il trattamento sanzionatorio previsto per tipologie di condotte già penalmente rilevanti, lo potrebbe fare solo con efficacia per il futuro.
Il divieto costituzionale di retroattività impedisce, da un lato, che un comportamento penalmente irrilevante possa essere soggetto a sanzione penale dopo la sua commissione e, dall’altro lato, che una condotta già penalmente rilevante possa essere oggetto di un incremento del trattamento sanzionatorio rispetto a quello previsto al momento del fatto.
Qualora un comportamento penalmente irrilevante al momento della sua commissione diventi, al contrario, penalmente rilevante a seguito del verificarsi di un cambio di interpretazione giurisprudenziale oppure finisca per essere sanzionato (in astratto) con pene più sfavorevoli, quali garanzie sono riconosciute al cittadino?
La Corte costituzionale nel 1988 aveva dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della disciplina dell’ignorantia legis, consacrando il principio secondo cui l’ignoranza inevitabile della legge penale scusa il soggetto. Principio che però non ha impedito in tutti questi anni alla giurisprudenza (di legittimità, anche nella sua massima istanza) di riconoscere ai mutamenti giurisprudenziali sfavorevoli efficacia retroattiva, quindi rispetto a fatti già verificatisi.
Più recentemente si è diffusa, su impulso della Corte di Strasburgo, l’idea secondo cui i mutamenti giurisprudenziali peggiorativi non possono retroagire solo laddove imprevedibili.
Secondo l’opinione tuttora maggioritaria, il divieto di retroattività non potrebbe o non dovrebbe svolgere alcun ruolo di garanzia in questi casi in quanto il riconoscimento del medesimo divieto anche rispetto ai mutamenti giurisprudenziali in malam partem determinerebbe l’equiparazione del “diritto giurisprudenziale” alla legge sul piano delle fonti del diritto penale, equiparazione evidentemente insostenibile sulla base del nostro modello costituzionale di separazione dei poteri. È davvero così?
Il lavoro affronta, in prospettiva anche europea e comparata, il tema delle garanzie costituzionali riconosciute al singolo cittadino a fronte del verificarsi di un mutamento giurisprudenziale (soprattutto in seno alle Sezioni unite) produttivo di conseguenze sfavorevoli.
The article describes the witnesses of three Venetian chronicles of the Houghton Library of the Harvard University in Cambridge (Massachusetts). The paper manuscript Ital. 67, dating to the 16th century, is acephalous and contains a history of Venice from 1106 to the 15th century. The story ends, in fact, by mentioning the noble captain Piero Loredan (1372 - 28 October 1438). The codex belonged to the Ward M. Canaday couple, who donated it to the Houghton library in 1964. The paper manuscript Ital. 178 dates to the XV century (the term post quem is 1417) and contains a history of Venice from the origins to the fifteenth century. It is mutilated in the final part. The codex belonged first to Walter Sneyd (1809-1888), then to Charles William Previté-Orton (1877-1947). It is not possible at the moment to indicate the exact date when the manuscript became part of the collection of the Houghton Library, where it is housed since 1996. The paper manuscript Riant 12 dates to the 17th century and contains a Chronicle of Venice from its foundation until 1432. The codex belonged to Count Paul Edouard Didier Riant (1836-1888) and entered the library of Harvard University in 1899. Keywords Venetian chronicles. Description of manuscripts. Houghton Library of Cambridge (Massachusetts). Ms. Ital. 67. Ital. 178. Riant 12.
The paper deals with an aspect of materiality in language as it is expressed in the complex metaphor of glottophagia, invented by Louis-Jean Calvet in the context of linguistics and colonialism. In this article the term is released from Calvet's unilateral negative use of the term as he focuses on its relation to orality, and instead it is linked with the positive literal tradition of eating written language as e.g. in the Bible and in the Classical Antiquity. From this point of view, glottophagia's poetological function as destroying, combining, reanimating, and purifying language emerges as a crucial feature of literary texts by Umberto Eco, Wolfdietrich Schnurre and Yoko Tawada.
The evolution of Critical Theory in the thought of Jürgen Habermas has important consequences for political questions, influencing the actual intellectual debate. This paper examines the main works and studies of Habermas about the epistemology of social sciences, the critique of late capitalist society, the public sphere and democracy, and proposes a comparison with the positions of Jacques Derrida, to have a better comprehension of this evolution.
L'Impero romano d'Occidente e i Barbari : le invasioni e la disfatta economica del V secolo d.C.
(2011)
Gli approfonditi studi che si sono svolti in questi ultimi decenni sul tardo antico hanno
consentito di precisare le caratteristiche del periodo e di generare un acceso dibattito
che, ancora oggi, dilania il mondo accademico che risulta essere smembrato in due
scuole di pensiero: continuisti e catastrofisti. I primi, a seguito della rivoluzione
copernicana di Peter Brown, considerano il tardo antico come un’età di transizione
che segna il graduale passaggio dall’epoca antica a quella medievale. I secondi, al
contrario, giudicano il periodo come un’epoca di cesura e di rottura con il mondo antico.
Appare evidente che la diversa valutazione che si da all’epoca ha portato ad
una distinta considerazione delle invasioni barbariche. Secondo i continuisti, infatti, le
popolazioni che attraversano il confine germanico non provocano alterazioni nella
struttura economica e politica dell’impero romano d’Occidente e affermano che i
barbari si sono semplicemente “accomodati” nel territorio di Roma. Secondo i
catastrofisti, invece, gli invasori hanno causato il declino economico e sociale di
Roma portandola verso la caduta sancita nel 476 d.C.
La sterile controversia, che ancora oggi è attiva nel mondo accademico, non ha
consentito di precisare come i Barbari abbiano alterato il sistema economico romano
poiché le due fazioni non hanno analizzato come gli “invasori” si siano inseriti
all’interno di un apparato consolidato ma fragile.
Il modello che qui si propone è sostanzialmente diverso da quello tradizionale:
non si parlerà di continuità o di rottura ma di una alterazione sostanziale che porterà
alla nascita di un nuovo mondo economico fondato su nuove basi.
Per raggiungere questo scopo si sono analizzate sia le fonti letterarie che
quelle archeologiche in maniera paritetica: nessuna delle due ha prevalso sull’altra in
modo da non far risaltare ne l’idea della continuità ne quella della rottura.
In precedenti saggi ho già evidenziato, analizzando il commercio a lungo raggio e interessandomi del dibattito storiografico sul tardoantico, come l’analisi dei dati archeologici consenta di individuare molte caratteristiche del c.d. "basso impero" e le trasformazioni che avvengono in questo periodo.
A seguito della rivolta giudaica, svoltasi nel biennio 115 – 117 d.C., la città di Cirene, che rappresentava uno dei punti focali del conflitto, risultava essere in forte declino. Le fonti letterarie e le testimonianze archeologiche rilevano che la polis e il suo territorio furono duramente colpite dal tumulto tanto è vero che la chora fu trovata deserta e i monumenti pubblici furono distrutti. Adriano intervenne con un intenso programma di ricostruzione volto al restauro dei principali monumenti della città come è tramandato dalle numerose testimonianze epigrafiche. L’intervento, però, non riguardò soltanto la ristrutturazione della polis ma comportò, come sarà evidenziato nel corso dello studio, anche la ricostruzione del tessuto sociale. In questo saggio saranno delineati gli interventi che Adriano attua a favore di Cirene e sarà messa in evidenza anche l’ideologia politica, resa esplicita mediante determinate azioni, che sostiene l’azione dell’imperatore. ...
Il presente studio ha come oggetto di ricerca gli olympieia costruiti durante l’Impero di Adriano che, come sarà sottolineato nel corso della disamina effettuata, svolgono una funzione di fondamentale importanza nella politica ecumenica perseguita dall’imperatore. Il princeps, come è tramandato dalle fonti letterarie, concentrerà la propria azione sulla pacificazione dell’impero e sulla rivalutazione delle province che furono poste al medesimo livello di Roma con il fine di consentire l’unità del vasto territorio amministrato dall’Urbe. A tal fine Adriano compie numerosi viaggi nelle province per risolverne di persona i problemi e tali peregrinazioni sono accompagnate da una serie di azioni che, opportunamente propagandate, daranno inizio ad un lungo periodo di pace nell’impero: l’imperatore elargisce numerosi doni alle città che visita, fonda nuovi santuari e poleis. La costruzione degli olympieia, come sarà dimostrato nel corso di questo studio, rappresentano, al pari di altre fondazioni religiose inaugurate durante i 21 anni del governo di Adriano, il fulcro della politica perseguita dal princeps. Per dimostrare la funzione di questi si è scelto un approccio metodologico che consente di prendere in considerazione sia gli aspetti architettonici che quelli ideologici. L’evidenza presentata in questo studio, pertanto, include due serie complementari di dati: nella prima parte sono presentati i dati archeologici sui santuari; nella seconda sono inseriti nel contesto politico\ideologico dell’età adrianea.
Questo saggio descrive il progetto ambizioso del costituzionalismo moderno e lo distingue dalla mera giuridicizzazione del potere pubblico. Esso mostra le sfide del costituzionalismo derivanti dalla perdita di identità del potere statale e del potere pubblico. Il saggio afferma la persistenza della necessità di regolare il potere pubblico, indipendentemente dal fatto che sia esercitato dalle autorità statali o da organizzazioni internazionali. Tuttavia, esso solleva dubbi sul fatto che il potere pubblico frammentato a livello internazionale possa essere regolato in modo tale da soddisfare le richieste del costituzionalismo. È in corso una giuridicizzazione che manca delle caratteristiche fondamentali del costituzionalismo. Come realizzare una compensazione in questo senso resta una domanda aperta.
This study points out the methodological centrality assumed by the notion of “physiognomy”, both in Benjamin and in Adorno, namely the idea that the forms of the works of art, and generally those of the visual phenomena, are direct “expression”, in a micro-monadological way, of an historical-social sense, not otherwise attainable. On the one hand Benjamin’s physiognomy shows a particular interpretative “openness” to its objects, on the other that of Adorno remains subjected to an epistemological model of “totality”, from the Hegelian-Marxian tradition, which risks compromising the hermeneutic efficacy of its own original philosophical approach.
The European Union is at the crossroads between intelligent expansion of future horizons and frightened shrinking to a perspective of local areas. Fear of descent of the citizens on one side and a politics of crisis, that goes along with harsh injustice have made upset the national societies against each other, missing courage on the side of politicians, to bring European issues to the fore, endanger the European project. There is only one way to overcome this situation by establishing a democratic union, which conserves not only the social and civilian achievements of the national state, as well as the assets of a greater democratic political unity, that offers an unity of European citizens and European state demos.
L’omaggio di due amici
(2019)
Il primo maggio del 2009 è stato celebrato presso il St Anthony’s College di Oxford l’ottantesimo compleanno di Ralf Dahrendorf. Nell’occasione si è tenuto, in sua presenza, un seminario internazionale nel quale si è affrontato, nelle diverse prospettive tipiche delle scienze sociali, il topos della libertà, un tema che è stato la stella polare della sua vita di pensatore a cavallo tra mondo accademico ed impegno politico. L’evento è stato coordinato dal professor Timothy Garton Ash che SMP ringrazia caldamente per aver autorizzato la pubblicazione, qui di seguito, di due importanti interventi ora raccolti nel libro da lui stesso curato On Liberty.The Dahrendorf Questions (University of Oxford, 2009).
Prevenzione e repressione nel contrasto al riciclaggio : un’indagine comparata tra Italia e Germania
(2023)
The doctoral thesis provides a comparative study of the Italian and the German crime of money laundering. Although the topic of the essay is double, its final purpose concerns solely the Italian criminal provision (article 648-bis of the Italian Criminal code, art. 648-bis c.p.) in the attempt to thoroughly investigate its offensiveness, underlying legal interest and legitimation as well as to propose a restrictive interpretation.
The first chapter defines the research topic and the comparative methodology which shall be used throughout the thesis. The comparison is hereby intended as a tool to not only describe, but also contextualize the German legislation and create a “dialogue” with the italian criminal provision. Also, the first chapter lays down the three fundamental questions upon whom the analysis will be built (“from where?”, “what?” and “who?”) and offers a conceptual framework of the crime of money laundering by enlightening the existing liaison between this criminal offence and the paradigm of crime-prevention; European and supranational law; and the activities of prosecution and intelligence.
The second chapter delves into the question “from where?”, that is, the question of the role and the meaning of the predicate offence in money laundering’s prevention as well as repression. Therefore, the topic of the predicate crime is examined both from the angle of the anti-money laundering obligations for private actors and from the strictly penal angle. The question of the contribution of the predicate offence to money laundering’s offensiveness is specifically investigated with regard to both supranational and national law (including the most recent reforms that took place in Italy and Germany).
The third chapter is dedicated to the question of “what” is money laundering. This topic is first of all addressed from a pre-normative point of view. To this end, the chapter begins with a survey of relevant criminological theories that have been developed in order to explain, on an empirical basis, the phenomenon of money laundering and its effects on economy and society. The chapter then moves on to the criminal law provisions by examining the shape and current interpretation of the national crimes of money laundering and interrogating their suitability in the light of the criminological suggestions.
With a view to drawing some conclusions on the Italian crime of money laundering, the fourth and last chapter explores the question of “who” launders, meaning the possibility for the author of the predicate offence to be punished as self-launderer. In this context, self-laundering is examined as a form of both rationalization and extremization of the crime of money laundering. Lastly, the doctoral thesis summarizes its findings and proposes a restrictive interpretation of art. 648-bis c.p.
La distinzione fra apollineo e dionisiaco è ritornata di moda grazie a Friedrich Nietzsche, che se ne è servito nella sua famosa opera La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Questo scritto, tuttavia, non persegue affatto l’intento di contribuire a comprendere questi concetti, ma si serve di questa distinzione per spiegare due aspetti di colonialismo d’insediamento in forma di stato, con particolare riferimento all’esempio dell’Africa Sud Occidentale e della sua capitale Windhoek. Come è noto, Apollo veniva considerato il Dio del sole e della ragione, mentre Dionisio era visto come il Dio dell’ebbrezza e dell’estasi. Nel presente contesto, l’apollineo rappresenta il sogno utopico di potere di stato coloniale, comportante il diritto assoluto all’uso della forza, a giudicare, a proteggere ed a praticare una politica attentamente pianificata, mentre il dionisiaco rappresenta, grosso modo, la mentalità pionieristica dei coloni e le loro tendenze anomiche, derivanti alla fin fine dall’illegittimità incontrastata dell’intero progetto coloniale. Nello stesso tempo questo scritto si avvale di un altro contrasto: giorno e notte. È usato in senso metaforico – ma non esclusivamente. E mentre il primo rispecchia “il regno della luce”, basato sul potere dello stato e su una vita pubblica che evidenzia le caratteristiche di società civile, la seconda rappresenta la fase del giorno in cui la notte scende ed il controllo da parte dello stato viene a cessare del tutto, mentre la «vita coloniale sotterranea» si risveglia.
La sfida del nominalismo alla realtà degli universali (sia in filosofia che in teologia) è stata un motore del pensiero moderno. Tradotta in termini estetici, ha favorito la resistenza alle generiche convenzioni e ha contribuito a minare le nozioni essenzialiste della forma estetica. Theodor W. Adorno ebbe una risposta tipicamente dialettica al nominalismo, plaudendo alla sua sovversione delle reificazioni categoriche, ma allarmato dal suo livellamento indiscriminato della distinzione tra concetto e oggetto, che poteva anche cancellare la distinzione tra opere d'arte e oggetti di uso quotidiano. In termini musicali, ha apprezzato l'enfasi nominalista sui singoli lavori rispetto alle generiche categorie formali e ha elogiato la rivoluzione atonale di Arnold Schoenberg. Ma era anche consapevole del fatto che, portato all'estremo, il nominalismo poteva condurre al dominio soggettivo di una natura considerata priva di proprie caratteristiche essenziali. Nella sua tardiva riflessione sulla musique informelle, ammirò una musica che evitava sia le categorie reificate che il dominio soggettivo dell'apparente contingenza del mondo materiale, una musica che esprimeva un nominalismo che avrebbe potuto essere meglio chiamato "magico" piuttosto che "convenzionale".
L'occhio, che tutto vede ...
(1996)
Il saggio indaga le connessioni tra l’abolizione della prostituzione legalizzata e i processi di democratizzazione in Germania e Italia, a partire dalla storia dei diritti umani nella sua interazione con il sistema politico. Le fonti principali sono i dibattiti parlamentari e le leggi che portarono alla chiusura dei bordelli e all’abolizione del sistema di sorveglianza nel 1927 in Germania e nel 1958 in Italia. I dibattiti sulla prostituzione pongono anche la questione dell’uguaglianza e della giustizia di genere. In particolare, il problema della regolamentazione della prostituzione, la cui efficienza viene verificata da un numero sempre maggiore di ricercatori nel corso del XX secolo, dispiega fattori di politica sanitaria, di diritti umani e di morale, aspetti di politica sociale e di sicurezza, mettendo in discussione non solo la gerarchia tra i generi, ma anche quella tra gli strati sociali.
Il pensiero di Günther Stern/Anders (1902-1992) non è mai stato al centro del dibattito filosofico e questo nonostante le sue teorie si siano spesso rivelate tragicamente attuali. C'è da dire che lo stesso Anders ha fatto di tutto per collocarsi in una posizione eccentrica, rifiutando con sdegno e indignazione i compromessi della carriera accademica, prendendo le distanze da alcuni autori che pure rientrano nel suo stesso orizzonte teoretico (Adorno, Arendt, Bloch e Lukács, ad esempio), ma soprattutto sostenendo alcune posizioni estreme e radicali, provocatorie e intransigenti. Un filosofo della esagerazione, potrebbe essere definito, un pensatore che ha programmaticamente eletto il concetto della Übertreibungskunst a sigla del suo metodo speculativo. Era infatti sua ferma convinzione che occorresse deformare per constatare (o anche contestare), per scuotere l'indifferenza di una società dominata e schiacciata dalla tecnica. In un mondo completamente sordo – spiega Anders – si fa necessario urlare le proprie considerazioni affinché arrive all'orecchio di qualcuno almeno una loro flebile eco. Una strategia della esagerazione che ha sortito come effetto quello di fare di lui una "Cassandra della filosofia", un "creatore di panico" o, nel migliore di casi, un pensatore scomodo, che conveniva tenere da parte, confinandolo nella periferie, o magari saccheggiare di nascosto, piuttosto che citare esplicitamente. La delusione per l'ostinata sordità del mondo nei confronti dei suoi ripetuti e disperati appelli ha segnato le sue ultime riflessioni, declinandole in toni aggressivi. Intollerante nei confronti di qualunque compromesso ipocrita, la "filosofia della disperazione" andersiana si è arroccata su toni sempre più aspri e ostinati, intransigenti fino al punto di legittimare persino la violenza con la necessità dell'autodifesa. Non stupisce il fatto che, alla fine della sua esistenza, al suo seguito non ci fosse che uno sparuto gruppo di fans, estimatori che Anders non ha mancato di scoraggiare e deludere, con l'assunzione di posizioni sempre più radicali.
In un passo di Angelus Novus, Walter Benjamin ebbe a scrivere, citando Pascal : "'Nessuno', dice Pascal, 'muore così povero da non lasciare nulla in eredità'. Ciò vale anche per i ricordi – solo che essi non sempre trovano un erede". Per Thomas Bernhard può dichiararsi a buon titolo erede solo e proprio colui che si assume il compito di elaborare radicalmente il ricordo del passato, di estinguere una volta per tutte il radicamento all'origine. Nel romanzo Estinzione la memoria è condensata in una serie di immagini fotografiche che s'impongono, si sottopongono, si sovrappongono alla coscienza del protagonista, Franz Josef Murau. Sono la cifra del vincolo con l'origine, che qui è la cittadina austriaca di Wolfsegg: un cordone ombelicale che, attraverso il potere corrosivo del ricordo, deve essere reciso, fi bra dopo fi bra. E, per attendere a questo esito, occorre far cortocircuitare le varie visioni che investono la coscienza di Murau: immagini reali, immagini distorte, immagini sfigurate, immagini riflesse, immagini fotografiche, immagini memoriali, immagini sognate, immagini ideali, immagini dell'inconscio. È dalla lettura di una serie di Bilder che Murau attingerà il coraggio necessario per sobbarcarsi il peso di Wolfsegg, dell'origine che ci è toccata in sorte e che, proprio per questo, "delenda est".
Quanto narrato da Franz Kafka nella Colonia penale (In der Strafkolonie, 1914) è forse troppo noto per raccontarne la trama. Mi limito a ricordare l'essenziale di questo racconto, che è uno die pochi pubblicati dall'autore in vita. Un viaggiatore approda, nel corso di una sua esplorazione, in una terra di nessuno, tra il noto e l'ignoto, tra il familiare e il perturbante. Si tratta di un’isola tropicale che è sede di una colonia penale. I Tropici di Kafka non presentano nulla di esotico; sono piuttosto il luogo della extraterritorialità par excellence, di una "civiltà" arcaica amministrata da una legge brutale, disumana e palesemente ingiusta. Lo strumento di questa "barbarie" è una macchina omicida, che prima era in auge, ma che ormai – essendo stata messa al bando dal nuovo comandante della colonia – ha assunto le sembianze di un relitto del passato. Rispetto a questo vecchio macchinario, che associa al dolore fisico l'ordine sociale, si sta infatti ormai affermando un nuovo paradigma, simbolo di un sistema più moderato. Il funzionamento dell'apparecchio in dismissione, posto in un insolito campo di sperimentazione, viene illustrato all'esploratore da parte di uno zelante oratore. È un ufficiale, orgoglioso e fedele custode "nei tempi nuovi" del macchinario di ieri, ma soprattutto convinto avvocato difensore della tecnica come barbarie.
In un'intervista rilasciata in piena maturità a ricordo degli anni di gioventù, Bloch concentra la sua attenzione sulle rilessioni antimilitaristiche contenute in 'Spirito dell'utopia' (1918 e 1923). soprattutto riformula quella questione che – proposta con veemenza nella Introduzione (dal titolo Intenzione) del suo libro – attraversa come un ilo sotterraneo tutta la sua produzione giovanile: "dove deve essere rintracciata l'origine di quella cecità che ha portato al crimine della guerra? perché il popolo dei poeti e dei pensatori ha imboccato il vicolo cieco del primo conlitto mondiale?".
La vis polemica di Bloch nei confronti dello storico colpo di tuono emerge dai passi iniziali di 'Spirito dell’utopia', uno studio che – come segnala l'"avvertenza" del 1936 – è stato "sviscerato e realizzato di note contro la guerra". È soprattutto a un intenso brano della "Intenzione" che bloch affida la sua denuncia della barbarie della prima conflagrazione bellica, inquadrandola in uno 'Zeitgeist' di generale immiserimento economico e morale.
Il vincolo dell'origine nella letteratura austriaca del secondo novecento : Il caso Thomas Bernhard
(2009)
La letteratura austriaca del secondo Novecento apre i battenti sotto il segno della ricerca della propria identità culturale, distinta da quella tedesca – alla quale era stata omologata durante il Terzo Reich – e vincolata, ma senza nostalgia, alle coordinate tracciate dalla "età dell’oro" mitteleuropea. È su queste posizioni che si attestano le opere dei cosiddetti "superstiti" della grande tradizione austriaca: Ingeborg Bachmann, Thomas Bernhard, Peter Handke. La loro rilevante produzione, insieme a quella di altri affermati autori – ha avuto da un lato, il merito di restituire l’Austria alla grande letteratura mondiale, dall’altro, di inaugurare la vivace stagione contemporanea, ancora in pieno fermento.
Tra le parole che si sono prestate agli usi più difformi e ambigui c'è sicuramente il concetto di progresso. Il motivo del "Fortschritt", che si è affermato nel XVIII secolo in contrapposizione alla visione ciclica propria dell'antichità, era associato all'idea di un incremento della produttività e alla prospettiva di uno sviluppo della storia umana. Questa deinizione positiva del progresso, per la quale al "dopo" corrisponde automaticamente il "meglio", sottende una concezione lineare della storia e rimanda a un modello tipicamente costruttivo. Ma il concetto di Fortschritt ha avuto una vita tutt'altro che pacifica: infatti ben presto si è affacciata prepotentemente sulla scena una visione ben diversa del progresso, che ha messo in crisi l'alone di gloria che sembrava accompagnarlo in dai suoi natali. In pochi luoghi è possibile misurare la crisi di questa gloriosa tradizione come nel capitalismo, dove l'ideologia dell'incremento quantitativo non ha portato ad alcun passo in avanti dal punto di vista qualitativo e in senso umano, ma piuttosto si è risolta in problemi globali e in dinamiche distruttive. Di fronte all'attestarsi di un progresso che è manifestazione di negatività, occorre mettere in guardia da un uso acritico della categoria del Fortschritt. È quanto sostiene Bloch in una conferenza tenuta nel 1955 e pubblicata l'anno successive con il titolo "Differenzierungen im Begriff Fortschritt". Come se non bastasse, sul fronte opposto c'è un'altra deriva da scongiurare: il problema che insorge sull'altro versante è quello di un totale rinnegamento del progresso. Si tratta di un errore teorico in cui molti sono caduti, e che segnala la necessità di una rilessione approfondita su questo tema. L'urgenza di interrogarsi sul "Was ist Fortschritt?" non deriva, per Bloch, dal fatto che il termine progresso sia di per sé poco chiaro e manifesto, ma semmai dal cattivo uso che ne è stato fatto Il primo passo da fare, secondo il programma blochiano di un recupero critico del "progresso", è quello di arginare gli intralci. Sono quei percorsi che sembrano condurre al Tiefenweg dell’Umano, e che invece si rivelano "vicoli ciechi" che non portano a nulla, o che sono costellati da botole che fanno ripiombare il viandante al punto di partenza. Da evitare sono inoltre quelle false piste che conducono in direzione contraria, nel senso opposto rispetto alla dimensione della Selbstbegegnung. Ciò che interessa a Bloch è denunciare le aporie contenute nel concetto stesso di "progresso", facendo afiorare quelle differenziazioni che lo rendono al contempo estremamente fragile ed ambiguo.
Sguardi al limite : Il tema della soglia nel pensiero letterario di Thomas Bernhard e di Ernst Bloch
(2008)
[...] Nelle riflessioni di Bernhard, come in quelle di Bloch, l'esilità del traciato di confine tra opera ed esistenza contribuisce a determinare profondamente lo statuto stesso della immagine e dello sguardo che la contempla. Di fronte a un'arte che è divenuta terreno incerto, l'occhio dello spettatore non può che muoversi in costante bilico, sull'orlo del precipizio, sulla linea di demarcazione tra il mondo irredento e quel regno outopico che la rappresentazione artistica rivela. Ciò che emerge da entrambe le letture è la consapevolezza della necessità di calarsi nelle crepe e negli abissi della realtà. In fondo questo è uno degli insegnamenti fondamentali di Bloch: è nelle buche e nelle lacune che costellano il terreno dell'esistenza che si annida il possibile sognato. Il confine (lo Zwischenraum) incollocabile, tra vita e arte, deve essere affrontato in tutta la sua problematicità funambolesca, e non tolto per mezzo della creazione di un universo fittizio. La relazione pendolare restituisce il senso della cornice mobile, come consapevolezza della impossibilità di tracciare una fisionomia nitida e definitiva del reale. Sia nella prospettiva di Bemhard sia in quella di Bloch l'immagine che tiene prigionieria l'umanita e l'idea della forma formata, una soluzione definiva posticcia e inautentica. La necessaria contromossa consiste allora nell'affidarsi a uno sguardo inquieto, perché consapevole di un'alterità che sempre sfugge.
In un passo tratto dal monologo "Tre giorni" (1971) è rintracciabile un motivo centrale della poetica di Thomas Bernhard: la necessità esistenziale di muovere contra un'opera che si offre come totale e assoluta [...]. Il confronto spietato con l'arte accreditata: è questo il fulcro tematico di "Antichi maestri. Una commedia" (1985), uno tra gli ultimi e anche tra i piu riusciti romanzi di Thomas Bernhard.
Quando, nel 1979, dopo quasi un quarto di secolo di silenzio, Günther Anders decide di raccogliere nel seeondo volume di "Die Antiquiertheit des Menschen", alcuni tra i suoi scritti più significativi, si accorge che la sua intera produzione filosofica non è stata altro che una continua variazione su uno stesso tema. La questione teorica che da sempre ha impegnato la sua ricerca è il configurarsi del rapporto tra uomo e mondo. Un motivo di evidente attualità antropologica, como lo stesso Anders sottolinea già nell'incipit della sua Introduzione: "Questo secondo volume di 'L'uomo è antiquato' e [...] un'antropologia filosofica nell'èra della tecnocrazia". E tuttavia alla tematica più strettamente antropologica vengono esplicitamente dedicate solo alcune pagine del volume, note densissime alle quali Anders affida la sua esplicita tematizzazione di un'antropologia negativa. In realtà, come lo stesso autore confessa in questa sede, i motivi salienti della "Negative Anthropologie" affondano le radici in un terreno fertile e battuto già cinquanta anni addietro, ovvero nella sua concezione giovanile di un'"antropologia filosofica dell'estraniazione".
Prendendo le mosse dal romanzo "Cemento" (1982) tenterò di delineare una costellazione di motivi che fanno dell'opera e della riflessione estetica di Thomas Bernhard un referente esemplare rispetto ad alcune questioni di evidente risonanza filosofica: il rapporto tra parola e silenzio, tra opera e fallimento, tra nonsenso e senso. È proprio il dualismo perenne tra questi due poli a restituire le coordinate entro le quali deve essere collocato, nel pensiero narrativo bernhardiano, il tema centrale e ricorrente del compito, che deve essere eseguito ma che di fatto si rivela ineseguibile.
Un titolo quale "Dialettica negativa e antropologia negativa" sembrerebbe preannunciare un lavoro di confronto tra Th. W. Adorno e Ulrich Sonnemann, sulla scia di una indicazione mutuata dalla "Introduzione" di "Dialettica negativa" (1966). E invece, disattendendo una simile aspettativa, la "Negative Anthropologie" cui ci si riferisce in questo saggio è quella di Günther Stern/Anders. L’idea di un confronto tra le due prospettive nasce dalla curiosità di capire la corrispondenza tra la "dialettica negativa" e l'"antropologia negativa", laddove con il secondo sintagma si intende la concezione andersiana di un'umanità inadeguata al mondo. Che poi non si tratti di una stranezza ma di un interrogativo legittimo lo conferma, indirettamente, lo stesso Adorno, che in una nota contenuta nella sezione della "Dialettica negativa" dedicata alla lettura del pensiero di Heidegger, chiama in causa proprio la lezione di Anders.
Sono brevi ma straordinariamente dense e suggestive le riflessioni che Ernst Bloch dedica alla Madonna Sistina nel corso del suo pensiero filosofico, a partire dalla sua prima opera "Spirito dell'utopia" (1918 e 1923) fino al tardo "Experimentum Mundi" (1974), passando per "Il principio speranza" (1947). Con queste "note a margine", Bloch non solo si inserisce a pieno titolo all'interno del dibattito tedesco novecentesco sullo spessore teorico della Sixtinische Madonna1, ma interpreta il dipinto di Raffaello come exemplum di quella dimensione utopica che innerva il suo pensiero. L'interesse che Bloch dimostra nei riguardi di questa insuperata icona occidentale è stato sicuramente influenzato dall'attenzione che hanno riversato su quest'opera alcuni dei suoi "autori di riferimento": da un lato Schopenhauer e Nietzsche, e dall'altro Goethe e Dostoevskij.
In tutte le sue diverse declinazioni, il dissenso nei riguardi della propria patria costituisce un motivo centrale e ricorrente nella cultura austriaca del Novecento. Come in una sorta di contagio il carattere distruttivo, soprattutto nel Secondo dopoguerra, si è diffuso – e continua a diffondersi – ad ampio raggio: esempi emblematici sono offerti da Peter Handke, con i suoi "insulti all'Austria" urlati dall'esilio francese, dalla prosa sofferta di Ingeborg Bachmann, che ha riparato a Roma, dalla scrittura caustica del Premio Nobel Elfriede Jelinek, o da quella estrema di Werner Schwab. Ma anche da autori meno noti, come Anna Mitgutsch, che, dagli Stati Uniti, non manca di esternare la sua avversione nei confronti del paese d'origine, o dai toni aspri dello scrittore Robert Menasse. Lo steso vale per il campo cinematografi co, con il cinema a tinte forti di Ulrich Seidl. Una passion durevole, quella degli austriaci per i toni antipatriottici, una tradizione che vanta come anticipatore il sacro nome del grande polemista Karl Kraus, o forse, ancor prima, affonda le sue radici nel teatro di Raimund Nestroy. Se l'ostilità per l'Austria sembra un Leitmotiv della grande retorica austriaca, Thomas Bernhard (1931-1989) può essere a giusto titolo considerate non solo come il legittimo erede di questa grande tradizione, ma anche come il suo massimo rappresentante. Ereditare signifi ca infatti fare i conti in modo cinico e rischioso con l'orizzonte vitale e culturale a cui si appartiene e che ci appartiene. Autore diffi cile, maniacale, irriverente ed eccessivo, Bernhard si è imposto all'attenzione del grande pubblico per la sua appassionata denuncia dell'universo austriaco, e della sua atmosfera piccolo-borghese, conformista, ottusamente fi loclericale. I suoi frequenti interventi pubblici – ora raccolti e pubblicati con il titolo Meine Preise – presentano come unico obiettivo la provocazione, e di fatto hanno suscitato scandali, polemiche. Un esempio per tutti è il discorso tenuto nel 1967 per il Conferimento del "Premio Nazionale Austriaco per la Letteratura": "Noi siamo austriaci, siamo apatici, siamo la vita intesa come ignobile disinteresse nei confronti della vita, siamo, nel processo naturale, la megalomania intesa come futuro". Un testo scritto con un inchiostro che è succo di nervi. Ma questa è solo una delle tante puntate che vedono Bernhard in polemica con i suoi connazionali, e che hanno contribuito a designarlo come un Nestbeschmutzer. È questa una visione decisamente riduttiva. Lo humour nero bernhardiano, che di certo ci ha regalato pagine irresistibili, nasce da un sentimento di amore e odio nei confronti dell'Austria. Per dirla in altri termini, è sintomo non di una nevrastenica insofferenza (di cui poco ci importerebbe), quanto piuttosto di una Unheimlichkeit, di un sofferto legame con l'origine. Su questo punto, per ora solo accennato, avrò occasione di tornare.
Non è certo un caso se da quasi un secolo si parla di Austria infelix, per designare una cultura austriaca intrisa di dolore, o forse ancor meglio, per dirla con Jean Améry, di un Morbus Austriacus che si è propagato come in una forma di contagio. Non è forse ancora un caso se Winfried Georg (Max) Sebald ha intitolato la sua opera saggistica del 1985 – in cui ripercorre alcune delle tappe salienti dell'itinerario letterario austriaco come stazioni del dolore – "La descrizione dell'infelicità" ("Die Beschreibung des Unglücks"). Seguendo questa diagnosi sebaldiana, la causa della patologia dell'infelicità austriaca del XX secolo va ricercata nel sentimento, ambivalente e sofferto, di avversione e di ricerca della patria. Gli eventi traumatici del Novecento, e la consapevolezza delle colpe dell'Austria nel suo consenso al nazismo, hanno segnato in senso problematico l'identità culturale di questo paese, e con essa anche la cognizione del dolore. Oltre a Jean Améry, che ho sopra ricordato, penso ad autori del calibro di Thomas Bernhard, di Ingeborg Bachmann, di Peter Handke, ma anche alla poetessa di origine contadine Christine Lavant. Se c'è un tema di fondo che attraversa, come un filo sotterraneo, questo tracciato letterario è l'impotenza di fronte al dolore, e al contempo l'assunzione del pathos come elemento di rottura delle forme. La sofferenza informa di sé l'esistenza, e la deforma. E pur tuttavia, questa deformazione si attua secondo modalità diverse: il dolore fa urlare, ma anche ammutolisce, fa delirare o irrigidire, straripa dalle forme e pietrifica, se esige di essere espresso, cozza contro i limiti del linguaggio.
Nessuno scrittore più di Franz Kafka si è inoltrato in quel "mondo inconoscibile" che è la zona di transizione tra l'umano e il bestiale, tra la cosiddetta natura e la cosiddetta cultura, tra la inconsapevolezza e la consapevolezza. L'intera opera kafkiana si muove sotto il segno del passaggio tra animalità e umanità, in una sorta di "assalto al limite". Basterebbe ricordare quel capolavoro che è il racconto La metamorfosi (Die Verwandlung), del 1912, per sottolineare la centralità di questo motivo. Ma, già se si dà un'occhiata ai titoli dei racconti più brevi, come La tana (Der Bau, 1923), Giuseppina la cantante, ossia il popolo dei topi (Josefi ne, die Sängerin oder das Volk der Mäuse, 1924), Indagini di un cane (Forschungen eines Hundes, 1922), ci si rende conto di quanti "quasi animali" affollano la letteratura kafkiana. Le Erzählungen annoverano una nutrita popolazione di fi gure bestiali: insetti, cani, topi, martore, scarafaggi, pantere, avvoltoi, cavalli, talpe, cani, gatti, cornacchie, cammelli e scimmie. Niente di nuovo se si pensa alla favola classica, da Esopo o Ovidio a La Fontaine, che pullula di metafore feriomorfe. E tuttavia – come ha giustamente osservato Günther Stern/Anders nella sua magistrale interpretazione di Kafka pubblicata nel 1951 –, sussiste rispetto alla visione kafkiana una sostanziale differenza. In ambito classico lo scambio tra uomo e animale aveva una chiara funzione didascalica: quella di dimostrare come gli uomini siano animali.
Avventurarsi e poi inoltrarsi nell'opera di Thomas Bernhard non è precisamente come fare una passeggiata, ma la passeggiata è un motivo ricorrente nell'opera bernhardiana (insieme a quella di Handke, di Sebald, di Walser, per fare solo alcuni nomi di passeggiatori nel Novecento di lingua tedesca). Le figure di Bernhard camminano, marciano, corrono, ma in una "direzione opposta" rispetto a quella indicata da Stifter. Talvolta i loro percorsi si snodano nella natura, come quando entrano in un bosco per non fare più ritorno (Gelo, Al limite boschivo, La partita a carte), a volte marciano nel chiuso della loro "casa-prigione", seguendo i percorsi labirintici e infiniti della loro mente (La Fornace, Cemento), altre volte ancora si muovono in un contesto cittadino e metropolitano, a Roma in Estinzione (dove la passeggiata con l'allievo Gambetti conserva un alone aristotelico, il peripatetico) o - più spesso - a Vienna.
L'intera riflessione filosofica di Günther Stern/Anders si snoda intorno al motivo della indeterminatezza costitutiva dell'essere umano che non riesce mai a cogliere la propria essenza in un nucleo definito e stabile, ma soltanto nell'accettazione della propria irriducibile contingenza. È questo il cuore di quell'antropologia negativa che Anders aveva già abbozzato nell'ambito di una conferenza tenuta nel 1929 presso la "Kantgelleschaft" di Francoforte e dal titolo "Die Weltfremdheit des Menschen" (fino a poco tempo fa disponibile solo nella versione francese, da cui è stata mutuata la versione italiana: La natura dell’esistenza e Patologia della libertà). Questo scritto giovanile - che nella intenzione originaria doveva essere solo il primo
passo di un sistema di antropologia filosofica - abbozza in sorprendente anticipo rispetto ai tempi e in maniera del tutto autonoma motivi che diventeranno correnti dopo le riflessioni antropologiche di Plessner e di Gehlen. Al centro dell'argomentazione andersiana sono infatti i temi dello "sradicamento", della "contingenza" e della "vergogna (Scham)" costitutiva all'essere umano che non può mai padroneggiare la propria origine.
Queste note su memoria e oblio prendono le mosse da due fenomeni noti, pur nella loro enigmaticità, e apparentemente opposti come il déjà-vu e il jamais-vu. Accade qualcosa e si ha l'impressione che si stia ripetendo un evento già vissuto, oppure ci si trova in un luogo praticato da anni e, a un certo punto, letteralmente, non lo si riconosce più, percependolo come nuovo ed estraneo. Si tratta di sentimenti che, pur facendo parte dell'esperienza più comune, conservano un alone di opacità. Sia nella "familiarità estranea" sia nella "estraneità familiare" si ha a che fare con uno spaesamento, una vertigine emotiva che sulle prime fa retroagire la nostra comprensione. In entrambi i casi lo stupore si accompagna all'inquietudine: la portata dirompente del nuovo strappa fuori dal riparo delle proprie certezze, dall'impalcatura delle proprie conoscenze. Sono i momenti di interferenza di livelli temporali diversi, in cui alla finitudine dell'evento vissuto si giustappone l'illimitata dimensione del ricordo. La simultaneità delle sfere contrapposte, il loro cortocircuitare e sovrapporsi, dà luogo a uno spaesamento, che talvolta assume un carattere demonico, perturbante (unheimlich), per dirla con Freud. Il senso dell'Unheimlichkeit fa tutt'uno con il sentimento di angoscia o di terrore che si genera nella conversione dell'opposto, quando il noto diventa fonte di terrore, quando il familiare si fa estraneo, o anche quando l'estraneo appare come familiare. Il ritorno del rimosso, sotto forma di paure o desideri inconfessabili, rinvia ai conflitti dell'infanzia e alle fase arcaiche della vita umana. In questo senso rappresenta una "promessa" che il presente non ha saputo esaudire, e che sopravvive in tutta la sua carica sovversiva.
Parlare di Ernst Bloch e l'Espressionismo significa parlare del pensiero die Ernst Bloch nella sua complessità. Già per lo stile la sua prima opera, Geist der Utopie (Spirito dell'Utopie), scritta nel 1918 è spiccatamente espressionista. Ma, oltre allo stile, rientrano nalla cornice dell'Expressionismus anche alcuni temi artistici affrontati da Bloch in questa prima opera. Certo le considerazioni eposte da Bloch sull'arte espressionista in Spirito dell'utopia sono più in forma di flash, di accenno, piú pensieri estemporanei che riflessioni sistematiche.
Sugli Arion del Piemonte
(1881)
Nel 1773 il ventiquattrenne Johann Wolfgang von Goethe, forse il più grande scrittore della tradizione letteraria tedesca, pubblicò anonimo un saggio intitolato "Zwo wichtige bisher unerörterte biblische Fragen: Zum erstenmal gründlich beantwortet, von einem Landgeistlichen in Schwaben" ["Due questioni bibliche importanti finora mai discusse: per la prima volta sostanzialmente risolte da un curato di campagna in Svevia"]. In questo testo il giovane Goethe sperimenta molte di quelle invenzioni letterarie che caratterizzeranno la sua opera matura. Il testo si presenta come una lettera scritta da un pastore rurale ad un vecchio amico fidato. Scrivendo in una fredda notte d’inverno, il pastore descrive uno stato di confusione nella mente di suo figlio, provocato dagli studi di teologia che questi aveva compiuto all'università. Questo saggio è il primo lavoro di letteratura, a me noto, nel quale la disciplina degli studi biblici accademici, da poco emergente, essendo stata appena allora introdotta nel curriculum universitario, sia direttamente tematizzata e per di più nel campo della finzione letteraria. Il saggio di Goethe segna un momento importante nella storia culturale e intellettuale. Il saggio è significativo per la sua rappresentazione della disciplina emergente degli studi biblici, per le sue riflessioni sulla relazione tra ebraismo e cristianesimo, tra le nozioni filosofiche di universale e particolare, e per le vicende intellettuali che suscitò dopo la pubblicazione.
Cominciamo dalla fine. Il passo in cui Radulfus Niger racconta dell’intervento del misterioso Pepo o Pepone nel placito tenutosi in Lombardia alla presenza di Enrico IV è divenuto ormai famoso. Quanti si sforzano di gettare luce sulle origini del rinascimento giuridico medievale, lo hanno letto e riletto indagandone anche i minimi dettagli. Eppure, ogni ulteriore lettura di quel passo sembra proporre motivi di interesse e spunti di riflessione sempre nuovi. ...
Gli storici del diritto dell’età medievale – quei pochi, almeno, o pochissimi che ancora si interessano ai secoli che segnarono il passaggio dalla tarda antichità al primo medioevo – non possono che salutare con grande piacere il volume del L. riconoscendovi immediatamente un nuovo e prezioso strumento di lavoro. L’importanza della Gallia tardoantica e poi di quella merovingia nella storia della tradizione giuridica romanistica era certo già nota da tempo. Merito del L. non è però solo quello di riproporre all’interesse della storiografia un tema – quello della storia delle fonti normative e giurisprudenziali di quell’epoca così particolare – che negli ultimi decenni, nonostante alcune lodevoli eccezioni, sembrava avviato a un progressivo abbandono. Nella sua rassegna d’insieme, egli non si limita infatti a riferire lo stato delle ricerche aggiornando e integrando l’opera tuttora fondamentale del Conrat.1 Si sforza invece di intervenire costantemente, prendendo posizione in pratica su ogni questione e proponendo, di volta in volta, integrazioni, precisazioni e, soprattutto, originali considerazioni, frutto di lunghi studi personali. Un libro coraggioso e sovente originale, dunque, che – è facile prevedere – nelle librerie degli studiosi del diritto nell’età altomedievale troverà posto, appunto, accanto alla Geschichte del Conrat. ...
Zwei Crucifixus für sechs und acht Stimmen
Nella sua opera estrema, Teoria estetica, Adorno menziona Paul Valéry una ventina di volte. Già questo fatto basterebbe ad attestare l’importanza che Valéry riveste per la riflessione adorniana sull’arte e sull’estetico. Infatti Teoria estetica, sebbene costituita nel suo complesso da un corpus testuale di mole imponente, è avara di citazioni e sono tutto sommato pochi gli autori (sia artisti sia filosofi) i cui nomi ricorrono numerose volte tra le sue pagine. Oltre a Kant e Hegel, e oltre a Benjamin, più frequenti di Valéry sono solo Baudelaire, Beckett, Beethoven e Schönberg, mentre all’incirca egualmente frequenti sono Brecht, Goethe e Nietzsche. Vista la parsimonia con la quale Adorno centellina i propri referenti espliciti nel momento in cui compie il massimo sforzo di condensazione teorica di una lunga riflessione sull’estetico, sarebbe avventato relegare il dato della frequenza del nome di Valéry in Teoria estetica nel novero degli accidenti meramente estrinseci. L’impressione della rilevanza di tale riferimento risulta poi sicuramente rafforzata se si vanno a leggere i luoghi in cui viene effettuato il rimando a Valéry.
Qualche anno fa, grazie al cortese e amichevole gesto della signora Ursula Sinzheimer-Potsma, sono stati trasferiti da Haarlem a Francoforte i documenti di suo padre, Hugo Sinzheimer’, che si trovavano presso di lei. Nel fondo si trovano materiali di gran de interesse, utili a chiarire sia la posizione dell’autore nell’am bito della scienza giuslavoristica weimariana, sia i fondamenti della sua dottrina del diritto del lavoro, sia, infine, la sua sociologia del diritto. Si pone peraltro la domanda se, ai giorni nostri, l’approccio scientifico di Sinzheimer e la dottrina che ne è derivata possano ancora essere considerati attuali.
The remains of the ancient Roman town, crossed by the Flaminia road and lapped by a bend of the Tiber, are located in a natural landscape of significant beauty, perfect synthesis of archaeology and nature that remained unchanged throughout centuries. Excavations were conducted here from a very early period, especially from 1776 to 1784, when a great quantity of material was removed. The archaeological excavations carried out in Otricoli in the second half of the Seventeenth century together with discoveries in Herculaneum, Pompeii, Stabiae and other cities of ancient Italy, contributed during the Neoclassical period to the rediscovery of classical ideals in art and architecture, partly already rediscovered during Humanism and the Renaissance in Italy.
Heinrich Kalteisen
(2014)
Raoul Sage
(2010)